Le 6 verità sulla Crisi Idrica in Sicilia

Marcello Frangiamone
10 Min Leggere

L’immagine della Sicilia arsa dal sole, con i campi secchi e i rubinetti a secco, è diventata un simbolo ricorrente della crisi climatica. Per mesi, la narrazione dominante ha attribuito la colpa quasi esclusivamente alla siccità, un nemico implacabile e apparentemente inevitabile. Ma se la mancanza di pioggia non fosse la vera causa, bensì solo l’ultimo sintomo di una malattia molto più antica e profonda?

Una monumentale indagine della Corte dei Conti, intitolata “Indagine sull’Emergenza idrica in Sicilia”, squarcia il velo su questa comoda verità. Il rapporto della Corte dei Conti, deliberato con n. 213 del 2025, frutto di un’analisi rigorosa e approfondita, rivela un quadro sconcertante: la crisi idrica dell’isola è il prodotto di decenni di paralisi burocratica, incuria infrastrutturale e caos gestionale. Non è una fatalità climatica, ma un disastro annunciato e, per molti versi, autoinflitto.

Questo articolo svela le 6 scoperte più sorprendenti e controintuitive emerse dal rapporto dei magistrati contabili. Sei verità che cambiano completamente la prospettiva sulla reale natura dell’emergenza e indicano che, prima di guardare al cielo, la Sicilia dovrebbe guardare a sé stessa.

1. Il Paradosso della Pioggia: In Sicilia Piove, ma l’Acqua non si Trova

Il primo mito da sfatare, la rivelazione più scioccante del rapporto, smonta il pilastro centrale della narrazione sulla siccità. Contrariamente a quanto si possa pensare, i bilanci pluviometrici regionali degli ultimi 12 mesi sono risultati “mediamente in linea con la media climatica”. In altre parole, sull’isola è piovuta una quantità d’acqua non lontana dalla norma. Il vero problema, evidenzia la Corte, è duplice: una “grande disomogeneità locale” nella distribuzione delle piogge e, soprattutto, l’incapacità cronica del sistema di raccogliere, immagazzinare e gestire l’acqua quando arriva. Questa scoperta sposta brutalmente il focus da un evento climatico ineluttabile a un colossale fallimento di pianificazione e infrastrutturale.

2. Dighe Fantasma: Un Tesoro d’Acqua Imprigionato dalla Burocrazia e dall’Incuria

Ma anche quando l’acqua arriva, un secondo fallimento, questa volta infrastrutturale, le impedisce di essere raccolta. La Sicilia siede su un tesoro d’acqua che non può usare. L’isola possiede ben 45 grandi invasi artificiali, con una capacità potenziale enorme di circa 1.129 milioni di metri cubi. Il dato sconvolgente emerso dall’indagine è che solo 18 di queste dighe funzionano a pieno regime. Le altre sono un monumento all’inefficienza: 20 sono soggette a limitazioni di riempimento per problemi che vanno dalla mancata verifica sismica all’occlusione degli scarichi di fondo e alla presenza di sabbia e detriti che ne riducono la capacità, mentre 7 sono completamente fuori servizio o, peggio, incompiute. Esempi emblematici citati sono la diga Blufi, i cui lavori sono “interrotti da decenni”, o la diga Pietrarossa, rimasta un’incompiuta per anni e solo ora in fase di completamento grazie ai fondi del PNRR. Una quantità immensa di acqua, potenzialmente disponibile per cittadini e agricoltori, è di fatto prigioniera di collaudi mai terminati, manutenzioni mancate e problemi strutturali ignorati da tempo.

3. La Rete è un Colabrodo: Oltre Metà dell’Acqua si Perde Prima di Arrivare ai Rubinetti

Anche l’acqua che riesce a entrare nel sistema di distribuzione è vittima di uno spreco monumentale. Il rapporto cita un dato ISTAT impietoso: la dispersione idrica totale nella rete di distribuzione siciliana è del 51,6%. Per rendere l’idea con un’immagine potente, per ogni due litri d’acqua immessi negli acquedotti, più di uno si perde per strada e non arriva mai a destinazione. La situazione è persino peggiore in alcune aree, dove la relazione della Protezione Civile ha registrato picchi di perdite che raggiungono il 68% (come nel caso dell’ATO di Siracusa e del gestore Sogip di Catania). Questo spreco monumentale non è un semplice problema tecnico, ma la conseguenza diretta del caos gestionale che paralizza ogni investimento, come emerge dal punto successivo.

4. Il Labirinto della Governance: Un Eccesso di Enti che Paralizza Ogni Decisione

La gestione dell’acqua in Sicilia è un groviglio inestricabile di competenze sovrapposte. Il rapporto della Corte dei Conti dipinge un quadro di “eccessiva frammentarietà delle gestioni e delle competenze”. L’elenco degli attori in campo è sterminato: Dipartimenti regionali, Consorzi di Bonifica, la società Siciliacque, 9 Ambiti Territoriali Ottimali (ATI) e centinaia di Comuni. La criticità strutturale, unica nel panorama nazionale, è che gli ATO siciliani sono stati disegnati sui confini delle vecchie province anziché seguire la logica naturale dei bacini idrografici. Il risultato è una “frammentazione delle competenze” che paralizza ogni tentativo di gestione unitaria. A distanza di anni dalla loro istituzione, molte ATI non hanno ancora affidato il servizio a un gestore unico. L’esito di questa paralisi è stato certificato dall’ARERA (l’Autorità nazionale di regolazione), secondo cui in Sicilia i progressi “non appaiono sufficienti a fornire un livello istituzionale di base necessario all’avvio di programmi di miglioramento infrastrutturale di lungo termine”.

5. Concessioni vecchie di 50 Anni e Acqua Gratis: Il Fiume di denaro che non disseta nessuno

L’indagine ha scoperchiato un sistema di gestione delle concessioni idriche fermo a decenni fa. Molte concessioni per l’utilizzo di acque pubbliche a scopo idroelettrico o industriale si basano su titoli “molto risalenti nel tempo”, alcuni dei quali attivi da oltre 50, 60 o quasi 70 anni, senza che i canoni e le condizioni siano mai stati adeguatamente aggiornati al valore attuale di un bene sempre più scarso. Questa situazione, come sottolinea la Corte, non è solo un problema di mancati introiti, ma pone la Sicilia in contrasto con principi europei di concorrenza, che richiedono gare pubbliche e l’aggiornamento periodico delle condizioni, un adeguamento che la Regione non ha ancora attuato. La rivelazione più clamorosa riguarda Siciliacque S.p.A., la società a partecipazione regionale che gestisce la distribuzione all’ingrosso. In base a una convenzione del 2004, la società “non paga alcun canone per l’acqua di cui si approvvigiona e che distribuisce”, ma versa solo un compenso per l’uso delle infrastrutture. In pratica, il principale distributore preleva gratuitamente la risorsa idrica che poi vende ai gestori locali, un paradosso economico e gestionale in piena emergenza.

6. Cronaca di un disastro annunciato: Gli allarmi degli esperti ignorati per oltre un anno

La crisi del 2024 non è stata un fulmine a ciel sereno, ma un disastro ampiamente previsto e annunciato. Il rapporto documenta come l’Autorità di Bacino, l’ente tecnico preposto al monitoraggio, avesse lanciato l’allarme sulla crisi imminente già dall’inizio del 2023. Il Segretario Generale dell’ente ha inviato un primo promemoria già a marzo 2023, seguito da altri tre avvisi ufficiali tra febbraio e marzo 2024, con cui segnalava il progressivo “incremento dello stato di severità idrica” e sottolineava la necessità di dichiarare lo stato di emergenza per agire tempestivamente. La risposta politica, però, è arrivata con un ritardo fatale. La Corte dei Conti lo scrive nero su bianco:

“Tuttavia, soltanto nel 2024 la Giunta regionale ha adottato i conseguenti atti deliberativi, con i quali ha dichiarato [lo stato di crisi e di emergenza]”

Questo ritardo, avvenuto nonostante i chiari e ripetuti avvertimenti tecnici, ha trasformato una crisi gestibile in un’emergenza conclamata, aggravando pesantemente le conseguenze per cittadini e imprese.

Conclusione: Una Sete di Responsabilità

La diagnosi della Corte dei Conti è lucida e impietosa. La crisi idrica siciliana è molto meno una fatalità climatica e molto più il risultato prevedibile di decenni di scelte gestionali errate, di un’incuria infrastrutturale cronica e di una paralisi burocratica che ha impedito di agire anche di fronte all’evidenza. L’acqua c’è, ma è sprecata, imprigionata, mal gestita.

Ora che l’impietosa diagnosi della Corte dei Conti ha dimostrato che la sete della Sicilia non è causata dalla mancanza d’acqua ma dalla mancanza di gestione, manutenzione e responsabilità, la domanda non è più quando pioverà. La domanda è se la politica avrà finalmente il coraggio di riparare un sistema che perde acqua, denaro e fiducia da decenni.

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