Le indagini del Commissario Falconara 4° puntata

Lillo Ariosto
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  • No, Tarzan no. Non lo voglio fare. Non mi costringerete ad andare a salvare Jane-Lo Celso dalle grinfie del gatto Beniamino. Che se la trascini pure. La tana del gatto è troppo piccola e Jane-Lo Celso non ci può entrare. E’ troppo tonda. Non può attraversare il buco del covo di Beniamino. E poi che se la porti pure quella gran rompiscatole. No. Non lo voglio fare. No, no e poi no! Non ci vado! Basta…lasciatemi andare. Voglio andare via. Via, via, viaaaaaa….
  • Falconara con un sussulto si levò dal letto, in un bagno di sudore, con il cuore che sembrava stesse andando fuori giri. Gli occhi parevano volere schizzare lontano dalle orbite. I capelli erano ritti, i peli delle braccia gli si erano sollevati. Aveva “li carni gugli, gugli” (pelle d’oca, per i continentali). La bocca impastata non riusciva ad emettere alcun segnale.

Non arrivava a capire se era sveglio o dormisse ancora. La persiana della finestra sul vicolo che conduceva al mercato diede un violento schiaffo all’infisso, dichiarando al poveretto che era ritornato nel mondo dei vivi e che l’affanno che aveva provato era oramai chiuso nei confini di un sogno, o meglio, di un incubo.  

Riafferrato il senso della realtà, si sentì sollevato e più sereno. Per dimenticare l’angoscia di quel delirio si avviò verso il bagno e chinandosi sul lavabo si sparò in faccia uno sbruffo di acque gelata. Alzò il capo e lo sguardo in direzione del soprastante specchio. Quell’individuo o quello che di lui vedeva riflesso, tutto sommato, appariva accettabile.

Aveva recuperato tutte le sue facoltà che un quarto d’ora prima, in pieno sonno, sembravano andate perdute. Si sbarbò velocemente e si infilò sotto il megasoffione della doccia, aprendo le cateratte che liberarono una pioggia di acqua calda che lo restituì alla normalità.

Dopo un tempo indefinito, fra i cinque minuti e il quarto d’ora, uscì dalla doccia e si avvolse con il grande telo di spessa spugna bianca. Si asciugò approssimativamente. Indossò quindi l’accappatoio acquistato a Palermo nel rinomato negozio di via Ruggero Settimo che aveva, da più di un decennio, chiuso i battenti.

Ricordava quando vi entrava con la scusa di acquistare un’acqua di colonia dal titolo emiliano ma soprattutto per ammirare il fascino delle attraenti e sempre eleganti commesse. Le immaginava adesso incantevoli mogli (o amanti) di qualche barone o principe ancora in auge.

Cullato da questi ricordi, con il suo passo dinoccolato, ritornò in camera da letto, indossò l’orologio constatando che ancora erano le sei e venti. Si recò nella cucina adiacente il tinello dove campeggiava il grande divano tappezzato con fiorellini bianchi, su un fondo azzurro tenue, che guardava al televisore sul mobiletto-porta libri di rigorosa fattura IKEA.

Prese la moka da quattro tazze residente sul ripiano guarnito dalle cinque file di piastrelle di Santo Stefano di Camastra, confinante con i cinque fuochi del piano-cottura, e la imbottì di polvere di caffè. La mise sul fornello e accomodatosi sul divano accese la TV.

Il TG24 esibiva le grazie della annunciatrice pseudo-giornalista-mancata fotomodella. Tolse il sonoro e iniziò a leggere la stringa bianca delle notizie che scorreva alla base del video. Solite notizie sul debito pubblico, che riservatamente riteneva oramai inesigibile, le ultime sulle guerre nel mondo, le anticipazioni sul reality show di turno della emittente.

Lo strepitio del bollore annunciò l’imminente riversamento del caffè dalla moka. Falconara con un balzo ruotò il pomello del fornello proibendo il venire fuori della fiamma azzurrognola data dal gas. La moka sembrò distendersi, ritornando alla sua natura inanimata.

Dalla credenza in tagged-style inglese prese un piattino con la tazzina riversa su un lato. La ridestò e la riempì del nettare nero. Ne assaggiò un sorso, ritornando in direzione del sofà dai fiorellini bianchi.

Non fece in tempo ad accomodarsi che il campanello alla porta iniziò ad emettere segnali sonori cadenzati a mò del tam-tam di “radio-londra”. Falconara dapprima iniziò a “santiare” per non avere ancora deciso di cambiare la suoneria (ma ricordò che se lo era ripromesso solo il giorno prima) e poi a maledire chi cavolo fosse alle sette del mattino a bussare alla porta.

In ogni caso ciabattò verso l’uscio e aprì, constatando che la sera prima non aveva neanche serrato con il chiavistello. Sulla soglia appariva ancora una volta la vedova Lo Celso.

Falconara in un primo momento gli sembrò che si fosse riaddormentato e nuovamente fosse stato rapito dall’incubo ma poi si vide con la tazzina di caffè fumante in mano e comprese che quella davanti ai suoi occhi era veramente la padrona di Beniamino.  

  • Ma lei, mi permetta, non pensa proprio a niente altro. Una cosa sola ha in testa. Non ci abbasta mai. E che significa? Sempre, quasi in mutande, si presenta davanti a una femmina. Mi meraviglio che è della polizia!
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