La rimozione del primo omicidio di mafia contro un giornalista: è la storia vera de “L’insabbiato”, il film di Rosario Petix, tratto dal libro di Luciano Mirone (“Gli insabbiati” con prefazione di Rita Borsellino) sulla vicenda di Cosimo Cristina, nella Sicilia soffocata dall’omertà, tra gli anni ’50 e gli anni ’60, quando ancora la parola mafia non si poteva pronunciare e invece Cristina l’aveva scritta sui giornali, collegandola alla politica con il filo degli affari.
A dirigere il film, presentato nell’idea progettuale al prestigioso Italian Pavilion nell’ambito del 78° Festival del Cinema di Cannes, Rosario Petix, attore e regista serradifalchese che è cresciuto negli ultimi anni nel panorama dello spettacolo italiano con tanto lavoro di qualità in teatro e importanti produzioni televisive e cinematografiche.
La Sicilia è stata quindi rappresentata a Cannes, a sottolineare l’importanza di questa produzione, già proiettata in un orizzonte internazionale.
Il cast degli interpreti è di alto livello: Fabrizio Ferracane, Alessio Vassallo, Manuela Ventura, David Coco, Lucia Sardo, Filippo Luna, Giovanni Alfieri, accanto alla giovanissima Gioia Biraku e a molti altri interpreti siciliani. Anche la produzione è legata alla Sicilia: “CinemaSet” di Antonio Chiaramonte, insieme ai coproduttori Sileo Productions e VeniSet.
Un progetto di cinema civile, impegnato a riportare alla luce la storia di chi ha testimoniato con coraggio la propria professionalità di giornalista al servizio della verità, senza compromessi né collateralismi interessati. Forse troppo in anticipo sui tempi.
Cosimo Cristina era un giovane giornalista di 25 anni, di Termini Imerese, e fu trovato morto sui binari ferroviari sotto una galleria, nel 1960. Per i magistrati il caso fu archiviato rapidamente come suicidio, senza autopsia né indagini particolari. Non ebbe neppure un funerale religioso, in quanto “suicida”. E’ stato Luciano Mirone, con una indagine certosina, molti anni dopo, a scoprire che i fatti si erano svolti in maniera completamente diversa rispetto alla versione ufficiale dell’epoca.
L’Ora di Palermo all’epoca aveva scritto: “Il corpo, perfettamente integro, con solo un’evidente ferita alla nuca e nessuna frattura, era alquanto incompatibile con qualsiasi corpo colpito da un treno in corsa o finito sotto le rotaie.”
Abbiamo rivolto qualche domanda al regista, Rosario Petix, che sta lavorando agli ultimi ritocchi alla sceneggiatura del film, le cui riprese inizieranno ad ottobre:
Perché riprendere la storia di Cosimo Cristina, oggi, nella Sicilia della mafia silenziosa, che non spara più?
Oggi la mafia non ha più bisogno di uccidere per codificare il proprio potere e imporre il suo predominio economico. Oggi la “guerra” riguarda l’informazione. Di fronte a un giornalista onesto, che cerca la verità e ne scrive, occorre screditarlo. Non si riesce quasi più a fare un’inchiesta raccontando i fatti, senza “orientare” l’opinione dei lettori in base agli interessi di chi paga i giornali e vuole esercitare il potere di dare, o non dare, una notizia.
La ricerca della verità comincia quasi sempre scrostando le “versioni ufficiali”. Il primo depistaggio è stato quello su Cosimo Cristina?
Il depistaggio come strumento di delegittimazione delle vittime è stato un vecchio metodo che la mafia storicamente ha seguito. Nel 1960, peraltro, c’era soltanto un giornale in Sicilia che scriveva di mafia chiamando le cose con il loro nome: “L’Ora” di Palermo, che subì anche un attentato esplosivo alla sua sede. Cristina è stato il primo giornalista ucciso e “insabbiato”. Parlando con Enza, la sua fidanzata, sono emersi tanti episodi che portano ad escludere nettamente ogni motivazione al suicidio. Ma il sistema in quegli anni non volle prendere in considerazione nessuna ipotesi diversa, Persino quando la Polizia si accorse che in quel territorio del palermitano si erano verificati in pochi anni troppi suicidi e costituì un nucleo speciale di investigazione guidato da Angelo Mangano, (il vice questore che avrebbe arrestato Luciano Liggio) che mise insieme un dossier che smentiva l’ipotesi del suicidio, i risultati di una autopsia, eseguita dopo sei anni dal decesso da due illustri clinici, confermarono invece la versione ufficiale del suicidio sotto il treno.
È stato merito di Luciano Mirone, giornalista cresciuto alla scuola di Giuseppe Fava, di avere portato alla luce tanti particolari e avere ricostruito anche il contesto in cui Cristina fu isolato, licenziato dalla ditta in cui lavorava, proprio quando aveva cominciato a scrivere di un “nuovo mercato fiorente in Sicilia”, probabilmente quello della droga, che stava soppiantando il tradizionale contrabbando di sigarette, partendo proprio dal palermitano. Ma nel 1960 scrivere di queste cose era veramente troppo avanti rispetto al contesto e ha pagato con la vita la sua passione per la verità e il suo coraggio.
Tra la sceneggiatura e la regia, per rappresentare una storia così, qual è stato il filo conduttore del lavoro?
Sto lavorando a rifinire la sceneggiatura e sono già alla quarta revisione. Si procede passo dopo passo, con molta concentrazione e pazienza, per rendere al meglio la vicenda senza appesantire la narrazione e rendendola avvincente. Il film sarà distribuito sulle piattaforme più importanti, parteciperà a festival cinematografici di qualità e sentiamo la responsabilità di portare alla luce una vicenda così drammaticamente vera che finalmente potrà essere conosciuta dal grande pubblico con spirito di verità. Quello spirito che ha appassionato Cosimo Cristina e che oggi più che mai è un bene prezioso.




