Nel giorno dell’Immacolata, a Caltanissetta la Madonna derubata

Francesco Daniele Miceli
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“A Sant’Agata prima l’arrubbaru, poi ci ficiru i grati.”

E a Caltanissetta? La Madonna andò in processione nuda d’argento.

C’è un vecchio detto catanese che ha attraversato tutta la Sicilia, frutto di antica saggezza popolare:
«A Sant’Agata prima l’arrubbaru, poi ci ficiru i grati.» Prima rubarono, poi misero le grate. Una frase amara, che racconta l’eterno vizio di correre ai ripari solo dopo che il danno è fatto.

Ed è impossibile non pensare a questo proverbio quando si rievoca ciò che accadde a Caltanissetta nella notte tra il 20 e il 21 novembre 1986. Una notte di silenzio e ombre, in cui la città dormiva ignara e la Cattedrale, immobile come ogni notte, custodiva come sempre i suoi tesori. Ma qualcuno, in quel silenzio, entrò. E si avvicinò alla cappella dell’Immacolata. Al mattino, il parroco Rosario Salvaggio e i fedeli trovarono ciò che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere. La Madonna, l’amata Immacolata dei nisseni, era stata spogliata del suo argento. Le lamine preziose del suo manto, i fiori dorati sbalzati, le decorazioni che luccicavano da più di due secoli sotto le luci del Duomo: tutto era stato raschiato via, con una violenza muta e definitiva.  Il simulacro di Antonio Lacerda, scolpito nel 1760, appariva improvvisamente vulnerabile, quasi indifeso, come se l’anima stessa della città fosse stata scorticata insieme a quel manto. Eppure, la festa non poteva essere cancellata. Così, nel dicembre del 1986, la Madonna uscì ugualmente in processione. Spogliata. Ferita. E, proprio per questo, ancora più umana, più vicina, più vera. Una processione che nessun nisseno dimenticherà mai: il simulacro segnato dall’oltraggio che avanzava per le vie antiche come un mistero doloroso. Sembrava l’Addolorata. Non l’Immacolata.

La devozione per l’Immacolata a Caltanissetta è antica: già nel 1539, racconta il Pulci, esisteva una cappella a Lei dedicata nella vecchia chiesa dove oggi sorge l’attuale sagrestia della cattedrale  e quando nel 1570 iniziò la costruzione della stessa, non fu un caso se la navata centrale venne consacrata proprio alla Concezione.

La città non ha mai vissuto la sua Madonna come una semplice immagine sacra, ma come una presenza concreta: lo dimostra il grande impegno del 1682, quando il parroco Vincenzo Sammarraco commissionarono a Messina un simulacro d’argento finanziato da elemosine e devozione popolare.

Ma è nel XVIII secolo che la statua assume il volto con cui ancora oggi la riconosciamo.
Il parroco Antonio Morillo, insoddisfatto della precedente immagine — il popolo non amava i volti d’argento — si rivolse allo scultore licatese Antonio Lacerda. Lacerda scolpì una Madonna in legno, con il volto e le mani dipinti, delicati, umani. L’orafo Giacomo Glorioso rivestì poi la veste con lame d’argento e fiori dorati a sbalzo, un intreccio prezioso che trasformò il simulacro in una visione luminosa. A completare l’immagine, nel 1858, arrivò da Napoli la grande raggiera con lo stellario, commissionata dal parroco Michele Marrocco.

Nei secoli, la statua fu ritoccata, arricchita, protetta: nel 1825 la cappella venne rinnovata, nel 1912 la nicchia fu racchiusa in un grande cristallo grazie al benefattore Antonio Sveglia.
E tutto sembrava un percorso eterno di cura e amore.

Il sacrilegio del 1986 scosse profondamente la città, che reagì con una dignità silenziosa ma potente. Offerte, raccolte spontanee, iniziative popolari: i nisseni non potevano lasciare la loro Madonna ferita. I nuovi elementi d’argento vennero realizzati a San Cataldo dalla ditta Giovanni Scaffidi, con la collaborazione del cesellatore Antonio Amato.

Nel 1987, quasi come una rinascita, la statua tornò nella sua cappella.
Un ritorno che aveva il sapore di una restituzione collettiva.

Oggi l’Immacolata continua a uscire in processione con la stessa grazia antica. Dalla Cattedrale, nelle ore pomeridiane, va alla chiesa di San Francesco, dove rimane due domeniche in attesa di tornare in duomo.
Sul suo volto si leggono tre secoli di storia, di fede, di mani
che l’hanno modellata e altre che hanno provato a ferirla.

E così, mentre la statua avanza nel freddo Dicembre, tra le moderne luci di un tempo di Natale appena iniziato, molti ricordano ancora quelle “ferite”.

La Madonna cammina: a strata ranni, a strata e scarpara… e il suo manto riflette un luccichio che non viene dal metallo: è la memoria di un popolo, che brilla più dell’argento che una volta le fu strappato.

la foto in copertina è di Pietro Gaggi

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