“Non basta una giornata della memoria”

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Una riflessione del prof. Angelo La Rosa sulla Giornata del 12 novembre

Che ci sia una giornata dedicata ai “carusi di tutti li pirreri”, lo dobbiamo senz’altro ai tanti ragazzi che lo stato di bisogno delle loro famiglie li ha privati della fanciullezza. Creature senza colpe se non quella di essere vittime predestinate di uno stato sociale degradato al limite dell’immoralità e della vergogna. Eppure, la vergogna dello sfruttamento minorile non è morta con la chiusura delle zolfare. Sebbene la legislazione italiana protegge i minori, a meno di situazioni clandestine, in tante parti del mondo questa fragilità sociale persiste in modo spudorato. Un esempio per tutti i bambini impiegati tutt’oggi nelle miniere di cobalto in Congo.

Al cimitero dei carusi, nei pressi della Gessolungo, da un blocco di sabucina, accanto alle croci bianche, esce un caruso sotto il peso del suo carico di pietrame. É scalzo. Ha le ginocchia e la schiena deformi e un lurido cencio gli copre a mala pena le parti intime, che forse di intimo hanno avuto ben poco.

Alla memoria di tutti i carusi de pirrerì”, scrive l’artista sotto quella sagoma, a memoria delle nuove generazioni. Tutto questo non basta, a mio avviso, a postare queste storie nei pensieri dei figli delle nuove generazioni.

Proprio loro potrebbero trarre molti vantaggi da ciò che rimane dell’archeologia industriale, patrimonio inestimabile, se solo riuscissero laddove abbiamo fallito, ricomponendoli nella giusta misura e affrancandoli da una politica asfittica, insensibile, da rinnovare nelle persone e nelle idee.

É un pensiero che da tempo circola nella mia mente, creando a Gabara, assieme ai forestali e ai numerosi sostenitori, un grande ecomuseo antropologico in chiave storica capace ancora di raccontare, di raccontarsi, incastonato in una cornice di emergenze naturali, che riportano il visitatore indietro di milioni di anni, al tempo di un Mediterraneo lago mare, dalla cui crisi si è generato quel magico e crudele oro del diavolo, dai fragili cristalli gialli come la malaria.

Proprio quel colore, tra i cinque, che vengono scelti non a caso da Gesualdo Bufalino per dipingere la nostra terra. È proprio in questo mondo che affondano le radici di intere generazioni di umili braccianti. Un patrimonio umano che aveva una cultura fatta di capacità, privazioni, rigore. Ma il nostro oramai atavico silenzio, la nostra politica dell’abbandono fanno sì che i tanti carusi, rimangono prigionieri nel buio asfittico delle gallerie, dove la luce non potrà mai raggiungere l’abisso, perché la porta è serrata dall’oblio. É questa deve essere la ribellione.

Non basta una giornata della memoria per sentirci a posto con la nostra coscienza, come per dire “li abbiamo ricordati, arrivederci al prossimo anno”. Solo attraverso il recupero e la valorizzazione dei luoghi riusciremo a non farli morire due volte. E così i carusi potranno liberarsi dal buio dei cunicoli e correre liberi incontro alla loro fanciullezza negata. Solo allora il giorno della memoria sarà carico di significato.

In ogni caso sento personalmente il dovere di ringraziare Valerio Cammarata che con amore e abnegazione per il terzo anno consecutivo sente il bisogno di rinnovare la memoria dei carusi attraverso la proiezione ai ragazzi delle scuole del suo eccellente e commovente docufilm “Brucia come zolfo”.

Angelo La Rosa

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