Poeta, giornalista, direttore de “L’Ora”.
Recentemente sui social abbiamo assistito a una modesta querelle sulla nomina del direttore artistico per la locale stagione teatrale. Per noi, piccole beghe di provincia.
La circostanza ci ha nondimeno portato alla memoria quando, nei primi anni ’70 del secolo scorso, usavamo andare a teatro nel (tremendo) stabile del “Supercinema” di via Dante Alighieri, dopo che il teatro Regina Margherita, già degradato a cinema di seconda visione, aveva chiuso i battenti.
Alle venti, con altri giovani liceali, ci presentavamo in giacca di velluto e quotidiano del pomeriggio “L’Ora”, piegato in quattro, sporgente dalla tasca (sinistra) della stessa. Era un modo per “emergere” dalla locale piccola borghesia “in grigio”, frequentatrice di quelle piece teatrali – al tempo – date dal Teatro Stabile di Catania.
Più tardi, negli anni, abbandoneremo quegli ardori (e illusioni) fideistici giovanili per diventare “campioni” di moderatismo e di mediazione (quasi democristiano), speranzosi in un labour party socialista, purtroppo nel nostro sistema politico mai compiuto, anzi strumentalmente prima combattuto e poi demonizzato in quel di Hammamet e che ci ha resi “atei” della politica.
Al giornale “L’Ora” rimarremo affezionati sino alla cessazione delle pubblicazioni del maggio 1992. De “L’Ora” rimarranno i celebri scritti di un giornalista, scrittore e poeta dai natali caltanissettesi: Mario Farinella.
Il nostro nasce a Caltanissetta il 26 luglio del 1922. La sua educazione è affidata al collegio dei Gesuiti. Lì la vita è severa, le regole sono rigide, la disciplina è ferrea. Il giovane Farinella studia con profitto ma più volte è protagonista di tentativi di fuga verso casa e libertà.
La sua insoddisfazione viene aggravata dall’avvento del regime fascista. Tenta di sfuggirvi rivolgendosi alla poesia. Pubblica un volumetto dei suoi canti ad appena quindici anni. Nel 1940, alla vigilia della seconda guerra mondiale, si trova sotto le armi. Viene costretto a interrompere studi e scrittura poetica.
Nell’immediato dopoguerra fonda a Caltanissetta il periodico “Vita Siciliana” su cui l’8 novembre del 1944 esordisce, con uno scritto su Salvatore Quasimodo, il ventitreenne Leonardo Sciascia. “Vita Siciliana” avrà durata breve.
Nel 1948 Mario Farinella entra a far parte della redazione del quotidiano la “Voce della Sicilia”. Nel 1950 è alla redazione palermitana de “L’Unità”. Nel ’55 fa il suo ingresso a “L’Ora”. Qui svolgerà la gran parte della sua carriera e della sua vita.
Continua nella sua produzione poetica e nei lavori che vedono come protagonisti gli strati più poveri della società, in particolare la difficile vita degli zolfatai e dei braccianti. Ad essi dedicherà molte poesie e diversi articoli volti a informare l’opinione pubblica sulle prepotenze e i soprusi commessi dai proprietari e gestori delle miniere di zolfo ai danni dei minatori.
Il suo primo libro “Tabacco nero e terra di Sicilia” e soprattutto la pubblicazione de “La Zolfara accusa: lettera da Lercara Friddi” del 1951, supplemento al periodico “Il Siciliano Nuovo”, costituiscono una forte denuncia delle condizioni e delle vicende vissute dai lavoratori in quegli anni tumultuosi, mostrandosi sensibile alle sofferenze degli appartenenti alle classi sociali subalterne.
Naturale dunque per Farinella schierarsi dalla parte degli oppressi, mettendo il suo talento letterario e poetico al loro servizio. Di “Tabacco nero e terra di Sicilia”, la prima raccolta di poesie di Farinella, uscita la prima volta nel 1951 e finalista al Premio Viareggio per la poesia, ristampata a Palermo da Flaccovio nel 1963, è celebre la introduzione di Leonardo Sciascia.
Non è per caso che Sciascia nel 1963 riconosce nella poetica di Farinella una “definizione in senso accidentale e non sostanziale e limitativo. Una poesia nata da esperienze immediate, dai fatti, dalla cronaca. Ma poesia”.
La sua opera professionale all’interno de “L’Ora”, nel cui organico ricoprirà gli incarichi di editorialista, corsivista, inviato speciale, condirettore e per un breve periodo direttore responsabile, si svolgerà sempre all’insegna di una linearità e di una integrità assoluta.
Neanche le intimidazioni mafiose, culminate con l’esplosione di un ordigno nei pressi della sua abitazione di Palermo in via Veneto, riusciranno ad incrinare la sua determinazione.
Infatti prende parte insieme a Felice Chianti alla prima inchiesta giornalistica sulla mafia.
Il conseguente attentato dinamitardo del 19 ottobre del 1958 che distruggerà parte della redazione e della tipografia del quotidiano palermitano darà origine alla istituzione della prima Commissione Parlamentare Antimafia.
Gli articoli, pubblicati su “L’Ora” e sul quotidiano romano vicino al PCI “Paese Sera”, saranno compresi nel volume “Rapporto sulla Mafia“, pubblicato nel 1964.
Celebri le sue interviste raccolte per “L’Ora” tra il dicembre del ’59 e il gennaio del ’60, con alcuni personaggi milanesi di origine siciliana come Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, il giornalista Gaetano Baldacci, l’industriale Michelangelo Virgillito ed il magistrato Carmelo Empedocle Vinci. Formeranno il volume “I Siciliani a Milano”.
Famosa la sua (seconda) intervista a Pier Paolo Pasolini, apparsa su “L’Ora” l’11 dicembre 1972, con il titolo “I Fulmini di Pasolini”, dove lo scrittore e regista, in Sicilia per preparare “Il fiore delle Mille e una notte”, risponde ai suoi molti detrattori.
“Io pornografo? Sono i critici che si comportano da piccoli borghesi conformisti”. Sferzante con l’avanguardia letteraria e polemico con il risvolto borghese della contestazione giovanile, Pasolini afferma nell’intervista: “Verga il mio maestro. Guttuso e Sciascia i miei fari”.
Per Mario Farinella, pur essendo un intellettuale di sinistra, la sua formazione cattolica si rivelerà un fattore importante nella propria attività professionale. Celebre la serie di articoli dedicata al Concilio Vaticano II e ai contraccolpi conseguenti impressi sul clero e nel mondo dei fedeli.
Tra i personaggi che intervista vi è la figura del Cardinale Ernesto Ruffini, allora Arcivescovo di Palermo, una dei personaggi più chiacchierati del mondo cattolico nel XX secolo, fratello del ministro Attilio Ruffini. Il prelato, in più occasioni, negherà la esistenza della mafia, vista solo come una invenzione dei comunisti per denigrare la Sicilia.
Oltre al Cardinale, che rappresenta la voce più autorevole della chiesa conformista e vicina al potere politico del tempo, Farinella darà spazio sulle colonne del quotidiano palermitano anche a voci diverse all’interno del cattolicesimo siciliano. Sacerdoti impegnati in parrocchie di frontiera, giovani attivisti delle ACLI e della FUCI, registrano le loro speranze ed il loro atteggiamento critico nei confronti delle collusioni tra le gerarchie ecclesiastiche dell’Isola ed il potere politico democristiano.
Durante la sua permanenza a “L’Ora”, la firma di Farinella appare su numerosi articoli che documentano con vivacità e acume ma anche, talvolta, con un sarcasmo che pare non volere mascherare il disappunto, circostanze, avvenimenti, situazioni grandi e piccoli che coinvolgono la Sicilia, dandone un quadro, a volte spassoso, a volte tragico e doloroso.
La morte di un bracciante avvenuta durante un violento interrogatorio in una caserma di polizia, le proteste degli studenti di un istituto per geometri ospitato in un edificio fatiscente ed infestato da topi represse a manganellate dalle forze dell’ordine, l’avanzare del degrado del patrimonio artistico e culturale di Palermo, nella indifferenza dei suoi ceti, delle sue classi e degli enti preposti alla sua salvaguardia.
Le riunioni di partito in sezioni democristiane (ma anche non) che finiscono in risse da film western con tanto di lanci di sedie e tavolini e molte altre avvincenti, e spesso avvilenti, storie siciliane vengono ritratte dalla penna di Farinella per esporle alla pubblica indignazione dalle colonne del suo giornale “L’Ora”, con tanto di nomi e cognomi dei protagonisti.
Del Questore di Palermo, che nel 1962 durante una intervista concessagli gli raccomanda di “parlare poco di mafia” per “evitare di screditare la nostra terra”, scriverà: “Forse non è un vero siciliano come invece afferma di essere”.
Una selezione dei suoi articoli verrà pubblicata nel 1977 con il titolo “Diario siciliano”.
Mario Farinella muore a Palermo il 7 febbraio 1993, a nove mesi dal giorno in cui il suo giornale aveva cessato definitivamente le pubblicazioni.
I suoi scritti in poesia e in prosa restano a testimoniare il suo impegno per la Sicilia e la storia di trenta e più anni dal dopoguerra fin quasi ai giorni nostri.





