Quando si è dinanzi al baratro della morte e si rischia di morire può crollare tutto! Non sei più nessuno e non hai più certezze! La vita sembra giunta al suo termine e attendi la fine del tuo passaggio sulla terra.
Si aggrappava anche alla fede ma non bastava. Pregava ma non bastava. Aveva l’affetto dei suoi famigliari ma non bastava. Era solo con sé stesso e davanti alla sua probabile morte, alla sua fine. Sembrava incombere sulla sua testa la minaccia fatale di una conclusione anticipata!
Tutto ciò in cui credeva svaniva, era evaporato come un filo di fumo il mondo che aveva conosciuto. Quel fumo dannato che lo stava uccidendo. Quel fumo che non aveva più invidiato al suo maestro Andrea Camilleri ma che aveva maledetto, anche con tutto l’affetto che provava per lui. Entrambi fumatori per la morte: maestro e allievo!
Tutte le certezze, dinanzi ai suoi occhi, erano crollate come gli edifici bombardati ed esplosi di Palermo (i palazzi distrutti della Seconda guerra mondiale) e Gaza (l’attuale devastazione del territorio palestinese con il massacro di inermi civili). E vedeva le macerie della sua misera vita.
Era scomparso il suo nome, era scomparsa la sua ricerca della gloria sulla terra, era scomparso tutto di lui. Pregava ma la fede non poteva bastare. Si era aggrappato alla vita come poteva, anche con il rosario tra le mani. Ma la fede non bastava. Quel rosario che veniva dalla terra santa e che gli era stato donato da una cugina di sua moglie, tanto devota alla Madonna, la madre di Dio. Con l’immagine sacra della madre vestita di celeste cielo, il colore da lui tanto amato da bambino. Un ricordo della scuola dell’infanzia, piccolo, all’asilo.
Un crudele destino. Stava andando tutto bene e all’improvviso la diagnosi: “Le sue carotidi sono otturate, lei rischia di morire. Deve smettere di fumare e deve dimagrire”. Con tono duro e perentorio il chirurgo vascolare. “Non c’è più tempo, non c’è più tempo. Basta con i dubbi e i rinvii. Si operi, si operi! Tra poco morirà se non farà l’intervento chirurgico alle carotidi!”.
Ancora oggi, la notte veniva assalito e assediato dagli incubi della notizia inattesa e dalla sala operatoria che percepiva come un incubo allucinatorio, terrore alla sua vista …. La luce, il buio, l’assenza! Era senza speranza, gli mancava il respiro, sempre più affannoso e angosciato il segno concreto del vivere. Non aveva più nulla. Gli mancava la vita: il libero respiro!
Per gli altri, quelle storie di malattia improvvisa erano solo canzonette da quattro soldi. Capita a tutti di ammalarsi e di finire sotto i ferri. La vita è sempre a rischio, non c’è alcuna garanzia di salvezza. Non c’è sicurezza alcuna che si possa vivere tranquilli e in salute.
Come un film, gli scorreva davanti ai suoi occhi tutta la sua vita, tutto che passava rapidamente, come un liquido versato senza ragione, senza logica causale. Tutto che finiva. Si aggrappava alla fede ma non bastava. E nella sua solitudine non sapeva cosa pensare, anche se gli altri gli davano un conforto di circostanza, un sorriso poco convincente.
Anche i preti e le suore, in ospedale, gli sorridevano e gli dicevano qualche buona parola. Nulla, non sentiva più nulla. Tutto sembrava evaporato, svanito: tanta fatica inutile, tanti sacrifici sprecati, giorni di impegno sfumati. Era arrivato al capolinea e non c’era più nulla da fare. La sorte avrebbe deciso per lui.
O forse il buon Dio, se voleva aiutarlo! Non si sapeva.
Sul letto bianco di ospedale, con il lato sinistro del volto storto, vivo per miracolo. Al risveglio lo sguardo perplesso dei medici, al suo capezzale: “Si è vivo ma qualcosa non è andato per il giusto verso. Ha il lato sinistro del volto storto. Cosa è stato?”. Non lo sapevano. La loro scienza era muta! Il chirurgo, perentorio gli aveva detto: “Dopo Dio ci sono io!”. L’onnipotente.
C’era da stare allegri, nelle mani di un chirurgo che si sentiva Dio. “Io sono il professore…. Emerito, accademico, illustre, dell’università di Palermo!”. Che gioia immensa. Si sentiva assicurato il paziente dalle carotidi offese. Mancava poco e sarebbe morto di risate per i toni boriosi e puerili del noto chirurgo. Il paziente era ancora cosciente e capace di riflettere ma gli spettava di fare il “paziente”: “Che Dio ci guardi da simili personaggi vanagloriosi!”.
Nella sofferenza Dio c’è. Inevitabilmente c’è. Il divino chirurgo aveva le mani giuste per operarlo. Poco contava la sua supponenza di emerito non si sa! Il mondo è pieno di emeriti. Anche stronzi!
Solo con il suo dolore, solo con la sua fede nella vita! Non altro. Anche se avvertiva l’amore di sua moglie, l’affetto dei suoi famigliari e la vicinanza calorosa degli amici e di qualche collega premuroso. Era solo lo stesso. E poi la lunga convalescenza, con tutte le conseguenze e le sofferte traversie del caso, con le recrudescenze dei dolori quotidiani. Un pane quotidiano il dolore alla bocca, e per ironia della sorte il lato
sinistro. Lui che era di sinistra senza essere sinistro!
Anche lui era un mortale che poteva provare dolore e non essere nulla, vuoto tra i vuoti, granello di polvere spazzato via dal vento. La vita ripartiva ma era profondamente cambiata. Non era più quello di prima. Il dolore lo aveva trasformato. “Nulla è più come prima” era il titolo di un libro del prof. Massimo Recalcati che parlava di un amore concluso, ferito, impossibile, e non della vita cambiata, anche se un amore ferito e finito può cambiare la vita.
Il trauma era stato di natura diversa. Il capitolo della sofferenza che lo aveva offeso. Non era più sano, le sue carotidi occluse per non potere più vivere come prima! Si, tutto era mutato. Non sapeva più chi fosse e il dolore gli teneva compagnia tutti i santi giorni. Dal risveglio del mattino e sino alla sera e alla tarda notte, in paese cosa poteva saperne la gente che bene lo conoscevano. “Ma dove è finito? Che fine ha fatto il
professore? Il prestigioso assessore, il simpatico vicino di casa?”. Ero scomparso per tutti. Nessuna notizia di lui.
E da personaggio famoso era scivolato nel dimenticatoio, la rimozione collettiva che fa scomparire le persone perché sono malate e non sono più attive né presenti nella società e nei luoghi di lavoro. Per obbligo di salute si era fermato. Ma nulla più importava! Era ancora vivo anche se le persone non lo sapevano. Anche i colleghi non chiedevano più nulla di lui!
Se ne fregava. Aveva ritrovato la vita e con la stessa aveva cambiato abitudini e modi di pensare. Atteggiamenti e comportamenti malsani, che lo avevano negativamente condizionato, non erano più
presenti in lui: cancellati! Accade alle persone rinate che la realtà si percepisca in modo diverso, con una prospettiva cambiata, con luoghi e tempi trasformati, modi di pensare e convinzioni diverse da quelle che si
erano coltivate, quando la salute era solida e andava a gonfie vele.
Adesso non era più. La lunga malattia lo aveva cambiato. Un duro colpo allo stomaco, da fare tremare i polsi. La caduta! Dopo il lungo cammino di sofferenza, la sua dolorosa via crucis, si era ritrovato con le poche certezze della propria vita: la sua casa e il suo lavoro. “Amare e lavorare” fu la risposta che diede Freud a un giornalista che gli chiedeva quale fosse la ricetta per difendersi dai mali oscuri provenienti dal profondo”. E la frase amava ricordarla nella lingua originale dell’inventore della psicoanalisi: “Lieben und Arbeiten”.
La casa era per lui sua moglie, la compagna affettuosa che gli era stata vicino per tutto quel tempo, durato alcuni anni. Le sue cure affettuose, le sue attenzioni quasi materne che lo avevano veramente guarito, più delle medicine che prendeva, più dei bisturi e dei ferri del chirurgo, e delle sue preziose mani, che lo avevano
salvato!
Il lavoro era per lui tutto: aveva ritrovato i suoi alunni e i suoi colleghi, impegnato come era stato per tanti anni a fare il docente di Lettere e Filosofia; preso anche dai suoi interessi culturali e dalle sue passioni per la scrittura creativa e per l’arte poetica, continuo ristoro per la sua mente e per la sua anima.
Con il cuore aveva ritrovato la sua vita di sempre, seppure fosse cambiato, e con la sua mente lucida e consapevole guardava il mondo e cercava di capire e di interpretare la realtà liquida in rapida trasformazione, come era capitato a lui di cambiare per necessità e non per libero arbitrio.
Forse, il capriccioso destino o il buon Dio avevano deciso per lui: una vita nuova, una vita diversa, una vita cambiata! Nonostante lo negasse razionalmente, l’esperienza dell’abisso provato aveva risvegliato in lui una fede che lo faceva sentire parte dell’universo. E forse quel muto dolore aveva dato un senso alla sua vita scontata di professore e di uomo impegnato.
Ancora una volta: ritrovato e redivivo!
Tonino Calà