LA STORIA INFINITA DELLA MONTAGNA DI SALE

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È una storia infinita quella della montagna di sale abbandonata da quasi 40 anni ai bordi della strada che unisce Caltanissetta a Mussomeli.

Quattro milioni di metri cubi di materiali sterili, residui della produzione della miniera Bosco, negli anni ’60 gestita dalla Montecatini e poi, fino al 1985, dall’Ente regionale ISPEA.

Da 40 anni è un monumento al fallimento della politica industriale siciliana, dall’affidamento ai monopoli nazionali fino all’illusione della “Regione imprenditrice” con la sua miriade di Enti parassitari che sono riusciti soltanto a dilapidare le risorse minerarie dell’Isola e a liquidare, con tempi infiniti, società partecipate che la politica ha usato pesantemente per i propri sistemi clientelari.

La “battaglia della montagna bianca”, ingaggiata per decenni dal Comune di S. Cataldo, all’epoca retto da Giampiero Modaffari con Angelo La Rosa assessore al Territorio, in questi giorni sembra finalmente risolta, nella direzione che, contro i disservizi della politica regionale, era stata indicata ben sette anni fa.

La Regione ha annunciato infatti di avere avviato la riconversione del sito minerario Bosco-S. Cataldo, accogliendo una proposta di project financing del gruppo privato G.M.R.I. Srl, che avrà in concessione l’area per almeno vent’anni, e che, con un investimento di 10 milioni di euro, curerà la riconversione dell’ammasso salino in sali da utilizzare contro il gelo nelle strade.

Dal punto di vista ambientale, il progetto prevede la sistemazione idrogeologica dell’area, la realizzazione di un campo fotovoltaico e la piantumazione di essenze arboree resistenti ai terreni salini.

Per le casse della Regione è previsto un incremento del gettito fiscale e il versamento del canone di produzione mineraria. Operazione a costo zero per la Regione, quindi, con la possibilità di recuperare risorse finanziarie.

Il Presidente della Regione Renato Schifani, ha dichiarato: «Grazie alla virtuosa collaborazione tra pubblico e privato, risolviamo una criticità che aveva pesanti ripercussioni sul fronte ambientale e trasformiamo ciò che per anni è stato ritenuto un rifiuto da smaltire in una preziosa risorsa economica. L’iniziativa è assolutamente a costo zero e ci consentirà di avere maggiori entrate e di creare nuova occupazione. Saranno, infatti, una ventina le persone impiegate direttamente nel sito e circa altre trenta quelle nell’indotto».

Per l’affidamento della concessione è stata pubblicata una gara a evidenza pubblica e la G.M.R.I. Srl, in qualità di promotrice, ha goduto del diritto di prelazione, come previsto dalla normativa. A giugno, il progetto è stato inserito nel piano triennale delle opere di interesse regionale e la scorsa settimana è stata avviata la verifica ambientale, propedeutica all’approvazione in concessione dell’area. Concluso l’iter burocratico, potrà partire la riconversione e riqualificazione del sito minerario.

In questi anni l’abbandono di milioni di metri cubi di scarti provenienti dai processi di flottazione per il recupero della kainite, da inviare attraverso una teleferica di 18 chilometri all’impianto di Casteltermini, sul greto del fiume Platani, per la formazione di solfati di potassio da destinare all’agricoltura, ha solo creato un impatto ambientale di notevoli dimensioni.

Era noto da tempo che lo sterile abbancato avesse un’altissima percentuale di cloruro di sodio, tanto da far pensare ad un progetto di recupero per scopi industriali.

Dopo il passaggio del settore dei Sali all’ISPEA la Regione si è rivelata assolutamente incapace di gestire lo sviluppo del settore, che, a differenza dello zolfo, continuava ad avere un mercato internazionale, fino a quando, la notte di Natale del 1985, i cancelli dello stabilimento furono chiusi, senza alcun preavviso, per non riaprire mai più.

Per anni le luminarie di quel Natale sono rimaste collocate tra gli impianti di quell’insediamento di archeologia industriale, lasciato nel più totale abbandono, mentre veniva depredato di tutti i metalli che vi si potevano trovare, fino a fare scomparire impunemente anche i vagoncini della teleferica.

Nel giugno del 2015 il Dipartimento regionale all’Energia aveva annunciato al Comune di S. Cataldo il progetto di ricoprire la montagna di sale con argille (probabilmente di riporto dalle gallerie in scavo sulla ss. 640), appesantendo ulteriormente il suolo, già provato nella sua stabilità dal mancato riempimento delle gallerie della miniera dismessa. Come i ripetuti smottamenti e crolli, che hanno interessato anche la viabilità della zona, hanno dimostrato.

L’opposizione del Comune di S. Cataldo, nel cui territorio ricade la montagna di sale, riusciva a bloccare l’iniziativa regionale, invitandola a verificare con una campagna scientifica di prelievi di campioni, la presenza tra i detriti di una percentuale di cloruro di sodio tale da giustificare un’opera di trasformazione in sali utili e non la riduzione del sito a discarica, peraltro abusiva, che la Regione avrebbe dovuto urgentemente rimuovere.

I risultati delle analisi di laboratorio su campioni prelevati avrebbero dimostrato successivamente la presenza di altissimi tenori di cloruro di sodio e quindi la concreta possibilità di recupero dei quattro milioni di metri cubi di materiale abbancato, con ricadute economico-occupazionali di grande rilievo sociale.

Su questa vicenda abbiamo sentito il geologo Angelo La Rosa, protagonista, in questi anni, della “battaglia della montagna bianca”, che ci ha dichiarato: “Un’azione dell’Amministrazione Modaffari avviata circa dieci anni fa, che porterà a trasformare un grave problema ambientale in risorsa sociale, non perdendo di vista il beneficio paesaggistico, anche in termini di deterioramento di un suolo a rischio R4. La rimozione della massa abbancata da svariati decenni consentirà anche di dare una maggiore visibilità alle importanti strutture dell’archeologia mineraria ivi presenti, seppur bisognose di una profonda azione di bonifica e messa in sicurezza, a testimonianza di una passata attività industriale, già di ultima generazione. Corre l’obbligo di ringraziare il dott. Calogero Burgio e l’ing. Salvatore Pignatone, nei rispettivi ruoli regionali, per aver seguito da vicino tutte le fasi burocratiche necessarie al raggiungimento concreto dell’obiettivo”.

Dopo oltre sette anni dalle proposte e dalle relazioni scientifiche la Regione siciliana si è mossa. I tempi mai come in questo caso sono stati adeguatamente  “geologici”.

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