Chi sono le controparti?
Sale fino al 56% la percentuale di acqua che si perde nel colabrodo delle tubature in Sicilia, prima di arrivare nelle case degli utenti che la pagano profumatamente, record italiano rispetto al 42% nazionale (e l’Italia è il terzo paese in Europa per volume delle fonti idriche).
Di questo spreco intollerabile la responsabilità su scala regionale è di Siciliacque, l’azienda partecipata di cui la Regione detiene il 25% delle quote ma nomina 3 su 5 componenti del Consiglio di amministrazione. Nata nel 2004 per razionalizzare il sistema idrico nella regione più assetata d’Italia, sostituendosi all’EAS (Ente Acquedotti Siciliani) storico carrozzone regionale monumento dell’inefficienza, ha il compito istituzionale di organizzare la raccolta, la potabilizzazione e la distribuzione delle acque nelle province di Trapani, Caltanissetta, Agrigento, Palermo, Messina e Ragusa.
Investimenti, infrastrutture, qualità dell’acqua, energia e sostenibilità ambientale, che sono la mission aziendale di Siciliacque, nei 20 trascorsi dalla sua costituzione avrebbero dovuto puntare alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, sorgenti, falde acquifere, dissalatori, mentre a tutt’oggi la vulgata sulla carenza idrica in Sicilia attribuisce alla scarsità delle piogge l’origine della drammatica situazione che da mesi ormai sta devastando l’esistenza delle comunità siciliane, sia delle famiglie che delle attività produttive, agricole e industriali.
Peraltro, dai dati diffusi dalla Regione, soltanto l’11% dell’acqua piovana che bagna la Sicilia si riesce a stoccare.
Siciliacque gestisce una rete di 1942 km, 13 sistemi idrici interconnessi (tra i quali Ancipa, Blufi, Madonie est e Fanaco che forniscono Caltanissetta), 6 dighe, 5 impianti di potabilizzazione, 44 pozzi e 27 sorgenti, 55 centrali di sollevamento, 5 centrali idroelettriche e 2 impianti fotovoltaici.
Al momento della sua costituzione, con una concessione regionale per la durata di 40 anni, Siciliacque ottenne l’intera copertura finanziaria del project financing da una cordata di banche italiane (tra cui UniCredit e Banca Intesa), che si era assunta il rischio dell’investimento. Ad oggi il 70% dell’importo dei lavori per le infrastrutture e le grandi opere proviene da risorse pubbliche e il 30% da investimenti privati.
Tamponare le emergenze, e oggi neppure questo, è stato invece lo stile di gestione del problema acqua in Sicilia, nonostante gli investimenti, gli assetti societari di stampo aziendale. In febbraio il governo regionale aveva proclamato lo stato di crisi, insediato una struttura emergenziale diretta da Dario Cartabellotta, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti (o meglio, non si vede niente di realmente efficace).
Lunedì 22 luglio a Caltanissetta è stata indetta una manifestazione di protesta sit-in in piazza Garibaldi, sarebbe interessante conoscerne la piattaforma rivendicativa, l’indicazione delle controparti, gli strumenti che si vogliono mettere in campo per interloquire con la Regione e coinvolgere le amministrazioni locali.
È importante non sbagliare gli obiettivi e soprattutto chiamare in causa i parlamentari regionali, che della rappresentanza del territorio che li ha eletti hanno l’obbligo di rispondere con operatività ed efficacia, individuando le soluzioni e imponendo tempi certi, non limitandosi a presenziare o ad esprimere solidarietà.
Tra governo regionale, nazionale e governo cittadino c’è totale identità di schieramento politico. Quali sono i risultati?


