Ritornano le ideologie in Europa. Il risultato delle elezioni più politiche di sempre per la democrazia europea segna il ritorno del bipolarismo.
Lo si può salutare come un indizio del tramonto della propaganda centrista che, a partire dalla grande crisi economica del 2008, propinava incursioni nella palude dell’opportunismo per sopravvivere alle cicliche crisi di governo. Dunque, l’era degli adattamenti sembra avviarsi ad una conclusione. Infatti, il suffragio delle urne consegna la fotografia di una forte polarizzazione tra due blocchi pienamente distinguibili per postura, per metodo e senz’altro per contenuti.
Da una parte, la destra con la sua filosofia nazionalista, foriera di povertà e di isolamento, e dall’altra parte, la sinistra, che riscopre la sua tensione socialista dopo tre lustri di invisibilità.
È servito che il rafforzamento dell’area popolare di destra, sotto la spinta inquietante dei partiti neofascisti, prendesse vigore ovunque sul continente europeo, perché la sinistra recuperasse il suo ruolo storico di forza attrezzata a leggere le trasformazioni sociali e a volgerle in atto politico.
I dati elettorali sono senza dubbio incontrovertibili. In Germania il cartello di centrodestra CDU-CSU fa incetta di voti, incassando un generoso 30,7 % mentre i fascio-populisti dell’AfD (Alternative für Deutschland) mostrano numeri di crescita con un 14,5 %. Crolla, invece, la coalizione socialdemocratica del Cancelliere Scholz, dove l’SPD (Partito Socialdemocratico di Germania) si ferma alle stesse cifre dell’AfD e dove i Verdi, tradizionalmente forti nel Paese, capitolano con un 12,5 %.
Restando in area germanofona, clamoroso è l’esito del voto austriaco. L’FPO (Freiheitliche), partito neonazista e gemello dell’AfD, ha conquistato il 25,5 %. Resiste l’SPO (Partito Socialdemocratico d’Austria) con un 13,3 %, ma crolla la coalizione di governo centrista, dove i Verdi raccolgono un 10,9 % e l’OVP (Partito Popolare d’Austria) un 24,7 %.
La Francia non è da meno. Il Rassemblement National, il partito nazionalista di Marine Le Pen, manda in frantumi il trasformismo di Macron con un 31,5 %, inducendolo a sciogliere l’Assemblea Nazionale e ad indire le elezioni.
La Grecia, invece, conferma la tendenza popolare di destra dell’Europa, dove la Nèa Dimokratìa (Nuova Democrazia), partito di centrodestra, incassa un 28,6 %, mentre comincia a strutturare il consenso il partito xenofobo di Ellinikì Lìsi (Soluzione Greca) con un inquietante 9,5%.
Una certezza del vento di destra che soffia sull’Unione Europea proviene dall’Ungheria, dove il partito di Orban, Fisdez, prende un 44 %, dimostrando ancora l’ambizione di diventare il traino della destra sovranista.
Di contro, come si è potuto constatare nel caso della Germania o dell’Austria, le ricette socialdemocratiche ambigue non riscontrano più il favore dell’elettorato di sinistra e crescono, invece, i consensi verso i partiti di tradizione socialdemocratica o di sinistra socialista per nulla coinvolti con la palude centrista.
Il caso del Partito Socialista Portoghese è notevole per il robusto bottino del 32,9 %, nonostante che il partito abbia mancato il governo del Paese nelle elezioni legislative. Segue il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) di Pedro Sanchez, che è riuscito a respingere con un secco 30% l’avanzata popolare del rivale Feijoo fermo intorno al 34,2%.
Dove la sinistra fa meglio è il Nord Europa. Lì un elettorato ben attento ai programmi e al sistema delle alleanze ha premiato la fedeltà ad una linea politica che premia l’ecologismo, la difesa del welfare state e l’apertura al multiculturalismo. La controtendenza delle sinistre nordiche, dunque, è netta.
In Danimarca avanza il Partito Popolare Socialista con un 17,4 % inseguito dal Partito dei Socialdemocratici con il 15,6%. Anche in terra danese non ha incontrato un piacevole riscontro la coalizione che guida attualmente il Paese, dove i socialdemocratici sono alleati con due partiti di centrodestra, i Moderati e Venstre. Ancora una volta la salsa centrista non trova gradimento in un momento storico dove si esigono risposte radicali alla guerra, alla questione sociale e alla transizione verde.
In Finlandia l’Alleanza di Sinistra, che unisce il Partito Comunista Finlandese, la Lega Democratica Popolare Finlandese e la Lega Democratica delle Donne Finlandesi, stacca con un 17,3% i Socialdemocratici Finlandesi, il partito dell’ex premier Sanna Marin, che si ferma al 14,9 %.
La Svezia, invece, secondo le previsioni, conferma la tradizione socialdemocratica con un 24,9 %.
Tuttavia, quando le lotte per le investiture prevalgono sulla definizione dei programmi, la sinistra sfilaccia il cordone sanitario posto all’avanzata cavalcata dei fascismi mascherati o professati. Così Syriza, primo partito di opposizione nel Parlamento greco, paga il processo di scissione interna, che ha portato alla costituzione della Nèa Aristerà (Nuova Sinistra), arrestandosi ad un 14,7% rispetto ai risultati di un anno fa, quando al voto delle Nazionali raggiunse un 17 %.
Sumar e Podemos, espressioni della sinistra radicale spagnola, non sfondano i risultati, centrando rispettivamente un 4,7 % e un 3,3 %, complice le beghe interne per l’intestazione della leadership dell’Izquierda.
Dunque, se da una parte l’andamento complessivo degli umori elettorali autorizza la galassia della destra ad estremizzare le soluzioni politiche sui temi facilmente abbordabili per mezzo di una martellante semplificazione della complessità, dall’altra parte il risveglio delle sinistre fa immaginare nell’immediato il tempo di una progressione democratica, a condizione che la bussola della rivalsa conduca alla stesura di programmi massimalisti e alla costruzione di alleanze socialiste coese.
La circostanza del voto italiano, consegnato dalle urne europee, induce a prendere in considerazione la tesi della fine della terra di mezzo, dove le forze politiche italiane post-comuniste si erano impaludate, avendo rincorso una governabilità ambigua con uno scellerato compromesso sulla questione sociale, dimentichi di un Paese attanagliato da povertà e da una contrazione vertiginosa delle possibilità di migliorare le condizioni materiali.
L’esito italiano, seppur con fatica, si allinea ora con l’indirizzo delle sinistre europee.
Infatti, le disuguaglianze di ordine sociale ed economico allentano sempre di più la tenuta sociale del Paese, senza tralasciare un inasprimento di quest’ultime dalla quasi certa approvazione dell’autonomia differenziata che approfondirà l’atavico stato di povertà del Meridione.
Ed in un contesto di impietosa paralisi promossa da un Governo che lavora ad anestetizzare la coscienza civile del suo popolo, i diritti sembrano configurarsi come privilegi.
Allora, i salari sono compressi dall’inflazione e da un malsano schema che predica la deregolamentazione del lavoro; la salute appare più come un’occasione per distribuire prebende ed affari; l’istruzione assume i contorni di un’educazione di regime, laddove non sembri più bastare la violenza dei manganelli. Il piano delle destre di imbrigliare il Paese in una morsa individualistica era già nell’aria, attraverso il consenso europeo.
È vero che Fratelli d’Italia allunga le distanze dall’opposizione parlamentare, ma perde circa 700 mila elettori, permettendo così a Forza Italia di ripulire, con la maschera della moderazione, le politiche aggressive dell’esecutivo.
La sinistra, però, ha compreso per tempo il gioco e ha svolto bene il compito: occupare le piazze. Il Partito Democratico, infatti, ha scalato le preferenze con un 24 % – anche se fa male in alcune Regioni come la Sicilia – e l’Alleanza Verdi-Sinistra ha rotto la sacca di marginalità, dove sembrava essersi collocata, con un 6,78%.
La mobilitazione nei luoghi della contestazione, la posizione netta sui temi sociali – ma sulla decisione dell’invio delle armi in Ucraina il PD non ha ancora trovato un baricentro – ed un metodo che possa radicare la lotta contro le destre italiane sembrano preannunciare la fine degli apparentamenti pseudo-riformisti.
Ora, il Movimento Cinque Stelle non deve disinteressarsi al processo di organizzazione di una valida resistenza dentro e fuori del Parlamento.
Conte ha una responsabilità maggiore in questa definizione dei rapporti tra i partiti dell’opposizione. Infatti, decisivo per le sorti politiche di un’alleanza di sinistra sarà l’ipotesi di connotare il M5S nel solco del centrosinistra o di cavalcare il malcontento, riportando le lancette dell’orologio al populismo delle origini.
L’asse Schlein – Conte – Bonelli – Fratoianni, pertanto, potrebbe rappresentare un coraggioso tentativo di seguire l’esempio dell’orientamento socialista europeo, polarizzando così il confronto dialettico con le destre.
Non, dunque, la solita alchimia elettorale atta ad erodere i consensi dell’una e dell’altra forza, in una inutile rincorsa alla primogenitura della leadership – argomento che, conviene ribadirlo, annoia l’elettorato – bensì la concretizzazione di una unità in grado di rispondere ai bisogni della gente.