PER QUALE IDEA DI CITTA’?

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QUATTRO DOMANDE AI CANDIDATI (E AI NISSENI)

Tra due mesi si vota, per eleggere un Sindaco, una nuova amministrazione cittadina ed un nuovo Consiglio comunale, ma nonostante la presenza, annunciata e manifesta, di centinaia di candidati consiglieri e di almeno cinque (finora) aspiranti primi cittadini, già sorridenti su manifesti e “santini”, non è chiaro per nulla cosa dovrebbe fare la differenza tra loro, in termini di progetto di città, di priorità, di proposte concrete sui problemi più importanti, meno che mai è chiara la differenza, eventuale, tra destra e sinistra, centro-destra e centro-sinistra, o estremisti del nulla (né di destra, né di sinistra, né di centro).

Non è una questione di poco conto, perché identifica e qualifica chi si impegna nella politica. Perché, piaccia o no, una elezione amministrativa è nettamente un fatto politico, riguarda infatti la Polis, la città, il luogo in cui le decisioni di chi amministra incidono quotidianamente sulla vita di ciascuno di noi, dentro e fuori dalle nostre case, negli spazi pubblici, nei servizi, sulle strade, nelle esperienze sociali, culturali e anche economiche. Obbligatoriamente, senza scampo.

Non ci sono soluzioni “di buon senso”, neutrali, che vadano bene in ogni caso per governare una città, ma ogni soluzione va inquadrata in una visione, in un progetto di città, che ha bisogno innanzitutto di una capacità di “leggere” la città di oggi, di analizzare le sue trasformazioni, di comprenderne le cause, di comparare i dati della nostra fisionomia sociale con quelli di altre città medie che invece si sviluppano, in cui si riesce a qualificare il buongoverno con una capacità di coesione sociale, di partecipazione autentica, di costruzione di rapporti efficaci tra la nostra posizione periferica e i centri istituzionali ed economici in cui si decidono gli indirizzi del Paese.

Oggi nessun partito politico sembra interessato a questo lavoro di analisi, meno che mai capace di elaborare progetti a breve, medio e lungo termine. Non se ne discute sui media, tra le categorie sociali, tra i professionisti, negli ambienti culturali o imprenditoriali.

Nessuna coalizione finora ha indicato poche e chiare priorità del proprio programma, e soprattutto, negli ultimi cinque anni, non è certamente nell’aula del Consiglio comunale che si sono confrontati, o anche contrapposti, progetti, idee, visioni di città. La contrapposizione ha riguardato questioni spesso irrilevanti, di piccolo conto, più per cimentarsi nella palestra dialettica personale (con effetti spesso drammatici per l’uso della lingua italiana e delle strategie comunicative) che per confutare decisioni o per proporre costruttivamente alternative.

Cosa fare, per esempio, dell’imponente patrimonio di immobili inutilizzati, (centinaia di affittasi e vendesi) in cui le famiglie nissene negli ultimi cinquant’anni hanno investito redditi e risorse, in una città oggi desertificata dallo spopolamento legato all’emigrazione?

Come integrare produttivamente le migliaia di migranti che si sono fermati a risiedere nella nostra città, a partire dai bambini, che nelle scuole del centro storico sono ormai la metà della popolazione scolastica? I loro genitori lavorano, ma tra la città dei nisseni e la città dei migranti non ci sono quasi rapporti, conoscenza, dialogo, momenti di socialità condivisa, e quella che potrebbe essere una risorsa, un modello virtuoso di comunità, rischia di diventare tra qualche anno una frontiera ostile e distruttiva, oltre che un’occasione perduta.

Come si pensa di valorizzare in termini di economia sostenibile il patrimonio importante di beni culturali e ambientali che ci circondano e che ci ostiniamo a non voler vedere con lo sguardo responsabile di chi riesce a metterli a frutto, come in altre realtà, anche meridionali, che su questo hanno riconvertito sistemi economici territoriali generando lavoro e sviluppo?

Perché la politica locale continua a trascurare la prospettiva universitaria, senza spendersi adeguatamente nei confronti della Regione per ottenere le risorse e l’impegno che altri territori, anche periferici, sono riusciti ad ottenere molto più di noi?

Chi si candida a guidare la città dovrebbe rispondere a queste e ad altre domande, naturalmente se i cittadini-elettori riterranno utile rivolgergliele, scegliendo di andare a votare e di votare per sostenere le risposte più convincenti, non per “motivi di famiglia” o per i piccoli traffici di voto di scambio che puntualmente emergono, in queste occasioni elettorali, dal misero sottobosco dei gruppi di potere.

Ne saremo capaci?

Abbiamo due mesi di tempo, almeno per cominciare.

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