Personaggi della nostra storia: Antonio Lanzirotti

Calogero Ariosto
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E’ risaputo che Caltanissetta ha goduto dell’appellativo “Fedelissima” in ragione della lealtà alla corona dei Borbone, che l’avevano costituita città Capovalle nel 1817, con la legge di riforma amministrativa del 1816.  

La mancata sua partecipazione ai moti rivoluzionari del 1820/21 fu compensata con il decreto reale del 21 ottobre del 1828 con cui si sanciva che la città “benemerita riceva un contegno onore” e quindi il titolo di fedele al potere di Ferdinando I delle due Sicilie.

Non tutte le personalità nissene ebbero a esercitare questa fede monarchica. Negli anni che portarono alla unità d’Italia sotto la corona dei Savoia, alcuni protagonisti nisseni di spicco parteciparono al movimento unitario, professando però la fede repubblicana ispirata da Mazzini.

Fra questi Antonio Lanzirotti. Figlio di Diego Lanzirotti e di Nazzarena Russo. Antonio nasce a Caltanissetta il 1° di gennaio del 1806. E’ il primo di quattro fratelli. Guglielmo Luigi, il secondogenito che godrà di maggiore fama e rivestirà alti incarichi politici, Maria la terzogenita e Giovanni il quartogenito.

Nobile per nascita, vantando il titolo di barone di Ganigazzeni (Canicassè), professerà sempre e strenuamente la fede repubblicana, divenendo la figura più rappresentativa a Caltanissetta della cultura mazziniana, prima e dopo l’unità d’Italia.

Trattiene una fitta corrispondenza con i massoni Mazzini, Garibaldi, Cairoli, Guerrazzi e Crispi, mantenendo una costanza di rapporti con i massini esponenti democratici del tempo.

“Il suo intelletto è nutrito di scienza del diritto e di storia e il suo cuore è un vulcano di libertà: non riconosce intermediari tra Dio e popolo. Aborre dalle cariche pubbliche, ma è censore imparziale, giusto, alle volte aspro, di coloro che ne sono investiti…. “ (Giovanni Mulè Bertolo, in “Caltanissetta e la rivoluzione del 1860”).

Giovanissimo entra presso il convitto San Giorgio di Castrogiovanni (Enna), dove si dedica agli studi di diritto, storia e nella (all’epoca) innovativa materia delle “scienze sociali”. Un sociologo ante litteram.

Assume per due brevi mandati (luglio/novembre 1846 e gennaio/febbraio 1847) le funzioni di decurione, equivalente alla odierna carica di consigliere comunale, essendo uno degli “eleggibili”, così ritenuti in ragione del censo e soprattutto delle notevoli competenze amministrativa dimostrate.

Va detto che quasi tutti i burocrati del regno borbonico post-napoleonico si erano formati nel decennio di dominazione francese, le cui influenze illuministiche non rimasero estranee ad Antonio Lanzirotti. 

In ragione di questo partecipa ai moti rivoluzionari del 1848, divenendo aiutante maggiore della Guardia nazionale. Soffocate le istanze rivoluzionarie, durante la restaurazione borbonica, è costretto a nascondersi diventando latitante per gli anni successivi.

Riappare nel maggio del 1860 durante la risolutiva insurrezione conseguente alla spedizione di Garibaldi. Anche in tale scenario Antonio Lanzirotti mostrerà una personalità non acquiescente, non passiva, non remissiva.

Rifiuta il ruolo di primo prefetto della città, offertogli da Garibaldi all’indomani della cacciata dei Borboni, non condividendo le modalità con cui la monarchia sabauda aveva “conquistato” il regno delle due Sicilie.

La sua anima repubblicana, e la sua fama di personaggio provocatorio e “pericoloso”, emerge appena dopo la realizzazione del tema unitario, sostenendo – con realismo in quel momento impensabile – che i plebisciti risorgimentali sono frutto di inganno, con uno svolgimento fraudolento, mascherando una annessione di fatto con una (falsa) idea di pronunciamento libero e spontaneo di adesione all’unità italiana sotto l’egida dei Savoia.

E’ una voce “fuori dal coro”, scomoda, pericolosa, che infastidisce. Un rivoluzionario nella rivoluzione.

Sostiene la illegittimità dell’adozione dello Statuto Albertino come carta costituzionale del nuovo Regno d’Italia, laddove questo – mediante il sistema dei plebisciti – non consente agli italiani di potere scegliere la forma statuale tra monarchia e repubblica. Denuncerà l’azione di spoglio se non saccheggio da parte del primo governo post-unitario delle risorse e dei beni siciliani, necessari per il risanamento dei bilanci sabaudi.

Accuserà la classe politica meridionale destinata ai vertici del governo nazionale di non volere realizzare una vera riforma agraria, promessa durante i moti risorgimentali nell’Isola e attesa dal popolo siciliano, arrivando a interpretare il problema del “banditismo” come esempio di lotta di resistenza di un popolo contro un invasore.

Storicamente rimarrà meno noto, se non oscurato, rispetto al fratello secondogenito Guglielmo Luigi, che sarà invece uomo di grande potere, espressione del sistema politico “forte” nei decenni successivi all’unificazione.

Antonio Lanzirotti rimarrà quindi una voce inascoltata, da coprire, da bloccare, sicuramente da far dimenticare. Si ritirerà, a vita privata in una modesta casa in via dei Santi (via re d’Italia), dove cesserà di vivere il 18 di gennaio del 1888.

Nonostante la sua damnatio memoriae alle sue esequie parteciperà con sincero e diffuso cordoglio tutta la città di Caltanissetta, indipendentemente da ogni fede politica professata, a testimonianza del grande rispetto e della stima che aveva saputo raccogliere nella sua vita.

Rimangono di lui le sue opere Un periodo di Storia Italiana 1859-1870 e Opinione politiche: cenni sull’ordinamento e reggime amministrativo in Sicilia, 1861, oltre alla sua corrispondenza con i personaggi storici del periodo, custodita nella Biblioteca Comunale Scarabelli, alla cui costituzione contribuì attivamente.

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