In questi giorni di crisi idrica, con conseguenti dubbi e remore sul personale politico che dovrebbe rappresentare la città di Caltanissetta, viene agevole fare raffronti con quella che gli inglesi chiamano “ruling class” (classe dirigente) attuale e quella del passato.
Naturalmente le comparazioni sono ardue. Diversi i contesti, diverse le situazioni storiche, diverse le ripartizioni in classi e diverse le formazioni sociali.
In ogni caso, per la serie dei personaggi illustri che hanno rappresentato la nostra città, vogliamo tracciare un breve profilo di un giurista e soprattutto di un uomo politico rilevante per Caltanissetta, anche se nato in un piccolo centro, allora facente parte della provincia nissena: Filippo Cordova.
Nato ad Aidone il 1° maggio del 1811, di famiglia con ascendenza al barone di Villa Orlando Boscarini e al giurato di Filippo Aidone (suo nonno), manifesta sin dall’infanzia una intelligenza e una vivacità inusuali.
Due lauree, in legge e in geologia, rivolge i suoi interessi alla prima entrando a venti anni nello studio dell’avvocato Antonio Agnetta del foro di Palermo. Qui entra in contatto con Michele Amari, Vincenzo Fardella di Torrearsa, Ruggero Settimo, futuri attivisti risorgimentali.
Grazie allo zio, Gaetano Scovazzo, partecipa nel 1838 al Congresso scientifico d Cleremont Ferrand, accreditandosi presso l’Accademia di Francia.
Grazie alle sue competenze e alle relazioni acquisite diviene Consigliere d’Intendenza di Caltanissetta.
Nel 1839 redige uno studio sulle decime feudali in Sicilia, esprimendosi contro la riscossione delle decime pretesa dal clero di Girgenti. In quell’occasione dichiarerà illegittime le imposte basandosi sul principio della “pubblica utilità”, affermando che esse «avviliscono i produttori, diminuiscono la rendita», iniziando di fatto una lotta aperta «non a parole dette a mezza bocca nel chiuso delle logge o delle sezioni politiche clandestine, ma con proposte di legge» contro la classe dei latifondisti e il relativo sistema economico che penalizza l’economia dell’Isola.
Nel 1845 è presente, con una propria relazione su un nuovo sistema catastale al congresso scientifico di Napoli, dove partecipa come rappresentante della “Società economica della Valle di Caltanissetta”.
Nel gennaio 1848, durante i moti siciliani antiborbonici è segretario del comitato rivoluzionario provinciale, venendo eletto deputato alla Camera dei Comuni siciliana. Con tale veste si occuperà della redazione dello Statuto siciliano.
Il tredici agosto dello stesso anno il capo dello Stato Siciliano, Ruggero Settimo, lo nomina Ministro delle Finanze nel governo guidato dal marchese di Torrearsa. Come ministro propone l’introduzione della carta-moneta con la creazione del Banco di Sicilia.
Per decreto stabilisce che i beni ecclesiastici e le argenterie delle chiese vengano dati in pegno per i prestiti allo Stato. Abolisce la odiosa tassa sul macinato.
Nonostante la sua provenienza sociale, appare come un riformista radicale, mirando a trasformare il latifondo siciliano attraverso la creazione di tanti piccoli proprietari terrieri ma trova la ferma opposizione dei nobili presenti nel parlamento siciliano e del clero.
Un’altra sua iniziativa, un mutuo coattivo per reperire fondi per la guerra contro i Borboni, grazie agli accordi con una banca francese negoziati da Michele Amari, suscita la netta opposizione dell’aristocrazia siciliana, costringendolo alle dimissioni.
Nulla rispetto all’esilio in Francia e poi in Piemonte a seguito della riconquista della Sicilia nel 1849 da parte dell’esercito di re Ferdinando.
A Torino Cordova, che già aveva fatto esperienza giornalistica in Sicilia con il suo giornale La luce di tendenza liberale, entra a far parte della redazione del giornale Il Risorgimento diretto da Camillo Benso di Cavour, divenendone direttore nel 1852 e cambiandone il nome in Il Parlamento.
Nel 1857 Cavour lo chiama a dirigere l’Ufficio di Statistica del Ministero delle Finanze, curando la elaborazione delle leggi sul Consiglio di Stato, sulla Corte dei Conti e sul Contenzioso Amministrativo. Tutte istituzioni giunte sino a noi.
Nel 1859 Filippo Cordova fornisce le carte della Sicilia in preparazione alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi.
Tramite il principe di Canino entra a far parte della Massoneria e nel 1860 è uno dei promotori della loggia Ausonia con l’obiettivo dell’unità d’Italia con capitale Roma. Esponente di punta del Grande Oriente d’Italia ne assumerà la carica di Gran Maestro il 1º marzo 1862.
Nel luglio del 1860 è a Palermo. Garibaldi lo nomina Procuratore Generale della Corte dei Conti. Forse sarà la carica più insidiosa per il politico Cordova, dal momento che a causa della lotta intestina tra Giuseppe La Farina, inviato di Cavour, e Francesco Crispi, segretario di Garibaldi, è costretto a lasciare la carica per rientrare in Piemonte.
E’ solo una battuta di arresto momentanea. Cavour, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, lo nomina Segretario delle Finanze, con il compito di unificare i bilanci degli Stati preunitari.
E’ deputato nel nuovo Parlamento venendo eletto nei collegi di Caltanissetta, Caltagirone e Siracusa.
Dopo la morte di Cavour è Ministro dell’Agricoltura e Commercio nel primo governo Ricasoli. Sarà Ministro di Grazia e Giustizia e Culti nel primo ministero Rattazzi e ancora Consigliere di Stato e ancora Ministro dell’Agricoltura nel secondo governo Ricasoli, a conferma della forte considerazione di cui godeva al di là delle divisioni politiche.
Nel 1868 viene eletto presidente della “Commissione di inchiesta sul corso forzoso” ma viene colpito da infarto il due giugno proprio mentre sale le scale del Parlamento per presentare la Relazione finale della Commissione.
Muore il 16 settembre a Firenze, in quel momento capitale d’Italia, dove viene sepolto al cimitero di San Miniato al monte.
Il nipote, il senatore Vincenzo Cordova Savina, negli anni 1889-93 pubblicherà le sue memorie con i discorsi al Parlamento italiano. Leggendoli sorprende l’estrema attualità dei temi in essi condotti.


