Personaggi della nostra storia: Francesco Notarbartolo

Calogero Ariosto
Calogero Ariosto 481 Views
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Francesco Notarbartolo Alvarez d’Evàn

Nella serie dei personaggi che hanno fatto grande Caltanissetta ci siamo imbattuti in un nome che, da studenti universitari a Palermo, abbiamo   incontrato   di   continuo.               

“Stazione   Notarbartolo”, “Via Notarbartolo”,   il   “Monumento   a   Notarbartolo”,   “Il   delitto Notarbartolo”, per anni hanno scandito il nostro recarci agli studi.

Abbiamo poi scoperto che questi toponimi ci erano più vicini, e di molto. A Caltanissetta esiste, in piazza San Giuseppe, il Palazzo dei duchi di Villarosa, solo in anni recenti restituito alla memoria locale come appartenete alla    “Famiglia Notarbartolo”.

Francesco Notarbartolo Alvarez d’Evàn nasce a Caltanissetta nel 1630.  La città, o meglio il suo centro abitato che domina le vaste aree della Sicilia centrale, governate dal grano, “l’oro giallo” del tempo, è quindi il luogo dove la grande famiglia siciliana vede l’avvio della propria ascesa economica.

Francesco Notarbartolo è un   uomo   che   oggi   può   apparire   come   fuori   dal   suo   tempo. Nonostante i mezzi dell’epoca è un uomo dinamico, tessitore di relazioni economiche (ma non solo). Sposta le proprie residenze. Vive   a   Caltanissetta,   a   Castrogiovanni   (oggi   Enna),   a   Polizzi, avvicinandosi alla capitale del regno che è Palermo.

Segue le proprie acquisizioni fondiarie, come un industriale odierno che sposta il centro dei propri affari da Milano a Londra, a New York.

Certo Caltanissetta, Castrogiovanni, Termini Imerese, Palermo non sembrano comparabili con le capitali economiche ma il movente è il medesimo: “following the money” (seguire il denaro). E’ l’approccio di un grande capitano d’impresa odierno.

Nel rivelo (una sorta di denuncia dei redditi del tempo) presentato a Caltanissetta nel 1651 il ventunenne Francesco denuncia il possesso di beni stabili per un capitale di onze. 281, a un tasso del 7%, rendite per un capitale di o.1399.17, a un tasso oscillante tra il 7 e il 10%, beni mobili per o. 238.15, gravezze stabili per o. 35.25 annuali,   per un capitale complessivo di o. 511.25.10 a un tasso del 7% e gravezze mobili per o. 36 annuali , per un capitale complessivo di o. 514.8.1 a un tasso del 7% . Il tutto per un reddito netto pari a o. 1847.740.

Il documento consente di avere una analitica situazione economica del giovane Francesco Notarbartolo, allorché decide di dare inizio al grande (as)salto che lo porterà a Palermo. In realtà il rivelo può apparire come quello di un modesto imprenditore agricolo, cadetto di una famiglia della nobiltà feudale di provincia, detentore di una rendita non trascurabile ma non di alto rango.

Lo stile di vita è improntato a un forte benessere ma è caratterizzato da una certa prudenza, avvedutezza e sensibilità ai doveri (che rendono). Tra le “gravezze mobili” denunciate, i versamenti annui a favore di enti religiosi.

Francesco non può ancora contare su un patrimonio e un titolo acquisiti e deve quindi ricorrere all’attività imprenditoriale. Si dedica alla attività di gabelloto, un’attività che, basata anche sul prestito ad usura tramite il sistema dei soccorsi, gli consente buoni margini di guadagno. A questa va aggiunta una adeguata politica matrimoniale.

E’ grazie alle doti ricavate dai matrimoni che egli riuscirà ad acquistare un patrimonio fondiario considerevole e soprattutto un titolo baronale, con il conseguente status sociale, utile per lo sviluppo delle sue relazioni in ambiti fino ad allora a lui inaccessibili e ai conseguenti possibili affari.

A due anni dal rivelo del   1651,   Francesco   sposa   in   prime   nozze   la   cugina   Antonia Alvarez d’Evàn Yvagnes, figlia del fratello di sua madre, Antonio e di Giovanna Yvagnes de Mezza. Risulta interessante il fatto che Francesco   sposi   una   nipote   di   sua   madre,   consolidando ulteriormente il legame con la famiglia Alvarez d’Evàn, a conferma della tendenza a rafforzare i legami di parentela attraverso il costante   incrocio   e   scambio   con   le   principali   famiglie dell’aristocrazia di provincia, con cui i legami si ripetono nel corso delle generazioni, grazie anche  alla vicinanza fisica all’interno delle città di Polizzi, Termini e Caltanissetta, centri privilegiati di residenza del lignaggio Notarbartolo.

La dote della sposa ammonta complessivamente a onze 3650, di cui o. 800 come capitale di rendite a   un   tasso   dell’8%,   o.   2600   in   denaro   e   o.   250   di   corredo.

Dall’unione tra Francesco e Antonia nascono: Gaetano, Placido, Ignazio e Giovanna. A dieci anni dal matrimonio, morta la prima moglie, Francesco sposa a Caltanissetta il 23 settembre 1663 Giuseppa Franco de Ayala Berzighelli, esponente di quello strato sociale a metà tra nobiltà feudale e “patriziato urbano” nisseno.

Il nuovo matrimonio frutta al Notarbartolo onze 130 di rendita annuale, poco più del doppio delle rendite portate in dote dalla prima moglie, più o. 1400 in contanti e un “tenimento di casi grandi” del valore di o. 400. 

Dall’unione tra Francesco e Giuseppa nascono: Maria, Anna Maria, Flavia, Ugone e Pietro. La cospicua rendita garantita dalle doti delle due mogli, pari quasi a 200 onze, dà la possibilità a Francesco di prendere in gabella la baronia di Rifesi e lo stato di Caltanissetta e di compiere poi il grande passo con l’acquisto, nel 1674, dei feudi di Magobeci e Magaldo e del relativo titolo di barone di Magaldo, Magobeci e Sant’Anna.

I feudi di Magobeci e Magaldo, fanno parte della baronia di Bombinetto, estesi per una superficie complessiva di 244 salme e 8 tumuli nelle «montagne frumentarie» del territorio di Castrogiovanni. Di tali feudi, così come dell’intera baronia di Bombinetto, era investito Francesco   Petroso   Salazar.   Quest’ultimo   alla   fine   del   1673, essendo onerato da troppi debiti, chiede alla Regia Curia la licenza di vendere i feudi per pagare i creditori. Viene quindi concessa l’autorizzazione, con nomina di deputato alla vendita il consultore del governo don Sancio de Lossada.

Il 26 febbraio 1674, espletate le formalità, viene rogato dal notaio Giuseppe Martino Moscata di Palermo   il   patto   di   vendita,   fatto   sotto   il   verbo  regio   con   la Deputazione degli Stati, in favore di Francesco Notarbartolo. La vendita, senza ius redimendi, prevede il pagamento di una somma complessiva di onze 7200, solamente restando a carico “di   esso oblatore di fare il regio servitio militare si et qualmente quelli si dovesse fare” e presentare e di pagare annualmente o. 10 dovute, cioè o. 3 e tarì 10 alla Regia Curia per infeudazione dello ius pascendi et o. 6 e tarì 20 all’università di Castrogiovanni.

A questa seguono numerose acquisizioni fondiarie con liberazione, grazie alla enorme disponibilità di denaro liquido, da ogni peso debitorio gravante   sugli   stessi.   Nel   1681,   al   momento   dei   nuovi   riveli, Francesco risulta a Castrogiovanni, ove si concentra il nucleo dei suoi interessi fondiari.

Nei riveli di Caltanissetta del 1681 si può cogliere invero la presenza – di fatto costante – dei Notarbartolo (Francesco   e   la   sua   discendenza)    nel   centro   nisseno,   dove procedono   all’acquisto   di   soggiogazioni   su   piccoli   capitali (paragonabili alle odierne cessioni credito, acquistando talvolta rendite su proprietà dei soggetti stessi per i quali agiscono come procuratori.

Come appare evidente, il nucleo di quella che sarà una nobile e prestigiosa famiglia siciliana, ritenuta  (e naturalmente nelle generazioni successive lo sarà) di natali palermitani, vede la nascita e l’inizio della sua ascesa a Caltanissetta.

Il sapiente gioco di reciprocità e di alleanze per mezzo i matrimoni incrociati tra famiglie contigue, nel caso della stirpe dei Notarbartolo, coinvolge più  generazioni.   La   risultante   solidarietà   che   lega   tra   loro   le diverse linee permette di mettere a punto strategie comuni. Del resto la creazione di legami di parentela multipli tra famiglie potenti emergerà come pratica comune al fine di creare vere e proprie  ragnatele di potere fra le élites locali, consentendo di mantenere sempre nelle stesse mani il potere economico e politico, riducendo   i   rischi   di   dispersione   dei   patrimoni.  

Tutto   ciò   a conferma   dell’esistenza   e   affermazione,   nella   Sicilia   cinque- seicentesca dei feudi, di un ceto di «familles semi-nobles, anoblies, ou de noblesse de province», che si intrecciano e interagiscono continuamente.

​Chissà se qualcosa è cambiato.

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