In questo nostro scritto sui personaggi che hanno fatto grande Caltanissetta parleremo di una personalità del territorio provinciale. Il protagonista odierno è Paolo Emiliani Giudici (o anche Giudice) nato a Mussomeli il 3 giugno del 1812.
Il padre Salvatore Giudice, la madre Antonia Cinquemani. Di salute cagionevole non frequentò alcuna scuola ma compì i primi studi nella casa paterna, sotto la guida di don Cataldo Lima.
A sedici anni compone due tragedie (Il conte Ugolino e Alessandro Di Fere) che pare siano andate bruciate per opera dello stesso giovane autore. Questi a – dire del De Castro – era uso distruggere ogni anno tutta la propria produzione letteraria.
A causa delle condizioni economiche della famiglia, peggiorate in seguito alla rivoluzione del 1821, contro la propria volontà, entra nel convento di Santa Zita dei domenicani a Palermo, dove prende il nome di frà Vincenzo.
Qui, grazie alla ricca biblioteca, approfondirà i propri studi classici. Nel contempo apprende l’inglese, il francese e lo spagnolo. Conclude gli studi e dal 1838 viene introdotto all’insegnamento della filosofia, sia all’interno dello stesso convento, sia presso nobili famiglie palermitane.
Tuttavia il nostro non è tagliato per la vita monastica. Il suo temperamento e le sue convinzioni politiche lo portano nel 1840 a chiedere all’Ordine la sua secolarizzazione temporanea. Nel luglio dell’anno successivo gli viene concessa in perpetuo. Conserva però l’abito di prete secolare che manterrà fino alla partenza dalla Sicilia.
Contemporaneamente sviluppa l’interesse per la pittura e per l’incisione, avendo come maestri Salvatore Lo Forte, accademico del nudo, e Vincenzo Riolo genero di Giuseppe Velasco docente anch’egli presso la Accademia del nudo di Palermo.
Della sua attività di pittore e di incisore rimangono due quadri conservati nella chiesa di San Domenico a Palermo e una incisione che rappresenta Ugo Foscolo durante il soggiorno in Inghilterra.
Sono di questi anni la traduzione (andata perduta) dei versi di Emilia Mogg, poetessa inglese, e una poesia di argomento patriottico composta il 14 giugno 1839. Quest’ultima opera lo farà segnalare per le sue idee politiche liberali che indurranno la polizia borbonica a sorvegliarlo.
Questo pregiudicherà il suo tentativo di conseguire l’istituzione nell’università di Napoli di una cattedra di estetica, facendo fede a una serie di amicizie che aveva allacciato tra cui Enrico e Michele Amari, Francesco Crispi, Francesco Paolo Perez. Personalità tutte compromesse politicamente e controllate dalla polizia.
Il 18 aprile del 1843 Paolo Emiliani Giudici riesce a partire da Palermo per raggiungere Napoli e quindi Livorno, da dove – dopo un breve soggiorno – si trasferisce a Firenze. Qui l’anno appresso viene legalmente adottato da Annibale Emiliani, da cui prenderà il cognome Emiliani, cambiando la lettera finale del cognome paterno da Giudice in Giudici.
Nello stesso 1844 pubblica a Firenze la Storia delle belle lettere in Italia, iniziata a scrivere, secondo la dichiarazione dello stesso autore, a ventisette anni, cioè negli anni palermitani.
Il punto di riferimento costante delle opere di Emiliani Giudici resta il pensiero di Ugo Foscolo da cui mutua il concetto di ritenere “inseparabilmente connesse” la storia letteraria e la storia politica della nazione italiana.
Esplicito il riferimento quando affermerà: “La fusione della dottrina politica con la letteraria che noi desiderammo negli storici tutti della nostra letteratura fu per la prima volta ammirata negli scritti di Foscolo, che ancora rimangono – non so se inimitabili – certo inimitati in Italia”.
Non a caso nel giudizio di Emiliani Giudici è prima con Alfieri e poi con Foscolo cui seguono Leopardi, Monti e Niccolini, che risorgono le sorti letterarie e civili della vita nazionale.
Questa tuttavia, per l’umanista Giudici, è insidiata dalle nuove correnti romantiche, il cui difetto principale sta nel loro carattere straniero e quindi lontano se non addirittura opposto alla “indole italiana”.
Incessante nella sua opera è l’ispirazione antiguelfa e antipapale sul terreno politico. Nel giugno 1859 collabora con alcuni giornali inglesi per illustrare al pubblico della “nazione amica” i problemi della “causa italiana”. Nello stesso anno viene nominato segretario dell’Accademia fiorentina di belle arti e poco dopo professore di estetica nella stessa Accademia.
Il nuovo Stato unitario lo trova impegnato nella politica. Si presenta candidato nelle elezioni del 1865, per il collegio di Serradifalco, dove viene sconfitto dal rivale dello schieramento clericale. E’ una battuta di arresto momentanea.
Nella tornata elettorale successiva, nel marzo 1867, si ripresenta nel medesimo collegio, conseguendo la vittoria. In Parlamento siede tra i seguaci di Rattazzi, al governo prima e all’opposizione dopo. Scaduto il mandato però non ottiene la designazione per rinnovare la candidatura.
Sono indicative le parole con cui se ne lamenterà con il fratello: “E se io vorrei [sic!] essere deputato non avrei che a dire una parola d’accettazione a qualcuno dei cinquanta collegi elettorali delle elezioni rispettive. Ma io per ora non voglio saper nulla; e senza la deputazione sono sempre lo stesso cioè uno dei più grandi scrittori del tempo (senza superbia)”.
Sposa il 16 dicembre del 1862 la ricca proprietaria terriera inglese Ann Alsager. Con lei risiederà in Inghilterra pur mantenendo il domicilio legale a Firenze. In questi anni realizza molti viaggi visitando Olanda, Belgio, Germania, Austria, Spagna.
Nel 1867 viene nominato commendatore ma i suoi interessi permangono letterari sino alla fine.
Muore il 14 agosto 1872 a Glenmoor. Viene seppellito a Ore, nei pressi di Hastings.
Di lui resta l’opera – una tra le prime – di ricostruzione storica della letteratura italiana. Secondo il suo intento raffigura il primo tentativo di dar vita a una organica ricostruzione della letteratura sotto una concezione storiografica moderna, unificatrice e diversa rispetto alla (precedente) somma di elementi più o meno omogenei.
Di contro, altri, ne individueranno una intrinseca fragilità proprio per la determinazione storico-politica di renderla convenzionalmente conforme allo svolgersi della vicenda nazionale, in contrasto con l’oggettiva produzione letteraria temporalmente discontinua rispetto alle istanze risorgimentali, ritenuta ostinatamente da Emiliani Giudici come asservimento dei letterati alle rispettive realtà statuali a loro coeve.
A Caltanissetta, a fronte dell’oggettiva grandezza del personaggio, rimane in sua memoria una via secondaria, piuttosto scoscesa, che dal piano di Santa Croce porta al piccolo slargo della “Batiola”, nel volgo conosciuta come “A scinnuta di scarpara” (la discesa dei calzolai), per i negozi di vendita di scarpe a buon prezzo, una volta esistenti, la gran parte condotti da ex ciabattini locali.




