POLITICA E MISTICISMO: L’AMERICA DI TRUMP

Andrea Alcamisi
Andrea Alcamisi 69 Views
4 Min Leggere

A Milwaukee, nel verde Wisconsin, si farà la storia. Dopo i fatti in Pennsylvania, il conclave repubblicano ratificherà un esito già scontato.

The Donald sarà canonizzato anzitempo e i cittadini statunitensi potranno così sfiorare il corpo miracoloso di una delle più grandi democrazie mondiali.

Infatti, il sangue trumpiano, versato sulle tavole del palco di Butler, ha dilavato definitivamente le difficoltà del partito repubblicano nel mostrare il suo volto più autentico.

Nella corsa elettorale peseranno quel pugno, sollevato come un macigno, e quella bandiera, sotto alla quale si era quasi consumato un «regicidio», così provvidenzialmente colti in una prospettiva evangelica: il figlio di Dio mandato a morire tra la gente.

Così, volendo parafrasare il noto proverbio evangelico, per restare nella cornice spirituale, chi ha armato le mani del popolo deve essere altrettanto preparato a ricevere lo stesso trattamento.

Infatti, la chiesa repubblicana ha fatto del Secondo Emendamento della Costituzione Americana, nel quale si garantisce ai cittadini statunitensi il diritto di detenere le armi, un dogma inviolabile. Ovviamente, un lauto tributo ai portafogli dell’industria bellica.

Non è un caso che, sotto la presidenza del Trump Primo, gli Stati Uniti aumentarono la propria spesa interna militare, spingendo di converso gli Stati europei alleati a fare altrettanto per raggiungere la fatica cifra del 2% del PIL in investimenti militari, pena la minaccia del presidente di collocare gli U.S.A. fuori dalla NATO.

Dunque, il quasi martirio di Donald, strumentalizzato dalla propaganda repubblicana come un bieco sbocco del fanatismo democratico, dimostra, in verità, la natura di un Paese lacerato da grandi contraddizioni.

A cominciare dalla formula politica del suo repubblicanesimo ormai sempre più apparecchiato come un manicaretto condito di una salsa che confonde volutamente politica, misticismo e razzismo.

E, in tal senso, l’Italia aveva già fatto scuola attraverso l’ostensione del rosario, durante i comizi, di salviniana memoria.

Ma, ritornando alle sponde del Nuovo Mondo, il fallito attentato, la cui matrice ideologica, in realtà, resta ancora sconosciuta, ha riaperto una ferita in continua suppurazione nel corpo di una democrazia in crisi.

L’attentatore, che ha, invece, ucciso un civile e ferito altri due, andrà, difatti, ad occupare il triste catalogo degli efferati esecutori di mass shooting, i cui presupposti di realizzazione trovano una risoluzione tra l’accesso non controllato al mercato legale delle armi e il malessere sociale inadeguatamente registrato dalla società.

Ecco, forse, il volto genuino degli Stati Uniti: un Paese che, nella propria Costituzione, ricorda che tutti i cittadini godono di un diritto al «pursuit of happiness» (n.d.r., il perseguimento della felicità), quantunque ne siano sprovvisti dei mezzi di realizzazione. Quel partito di Trump, reo, dopo aver consegnato fucili e pistole nell’ovunque americano, di aver polarizzato il dibattito politico, esasperando i termini di confronto tra i due schieramenti, ha permesso che i conflitti sociali sfiduciassero la stessa democrazia, ora incapace di leggere i segni di una richiesta inderogabile di ammodernamento di un welfare da sempre diseguale, abbracciando così la via della violenza, immediata e facilmente manipolabile.

Nel pentolone repubblicano, il nazi-evangelismo della cordata trumpiana, infatti, ha legato il destino di un popolo, che fatica sempre di più ad uscire fuori da una narrazione storica mistificata di potenza egemone e che, al contrario, ne segna un cedimento di fronte all’emersione di blocchi economici più intraprendenti, ad un progetto di palingenesi inquietante ridottosi ad una battaglia campale tra il bene ed il male.

Il punto più basso di una democrazia che sabota sé stessa nella ricerca di una cura.

Condividi Questo Articolo