Un Consiglio comunale è un organo rappresentativo della sovranità popolare, un organo democratico, non burocratico, e pertanto può proporsi, quando ne è capace, di produrre atti di indirizzo che impegnino l’Amministrazione attiva a compiere atti di innovazione, delle prassi e degli stili di governo, corrispondenti alle visioni della società che i gruppi politici consiliari rappresentano ed in base alle quali sono stati votati.
La vicenda della Mozione sul salario minimo comunale, presentata dai gruppi di opposizione, e illustrata nella seduta del 31 gennaio da Carlo Vagginelli, ha dimostrato invece, tristemente, il contrario.
La mozione conteneva una pregevole analisi, con dati ufficiali, sulle caratteristiche del lavoro povero nel territorio nisseno, e da questa analisi faceva scaturire alcune proposte, già realizzate in altri importanti comuni italiani, sia di grandi che di medie dimensioni, sulla possibilità di attivare un Tavolo delle parti sociali (sindacati e imprese) “volto all’adozione di un Protocollo d’intesa per la qualità e la tutela del lavoro negli appalti di lavori, forniture e servizi del Comune di Caltanissetta”.
In particolare, insieme ad una serie di garanzie per tutelare i lavoratori da forme di lavoro nero, più o meno ritagliate nei meandri delle attuali prassi amministrative, si chiedeva di “verificare che i contratti applicati dagli operatori economici a seguito dell’espletamento delle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile di 9 euro l’ora”.
Sarebbe stato un segno di attenzione per le categorie di lavoratori più esposte al ricatto del lavoro nero o sottopagato, così come, ripetiamo, già si è proceduto in molti altri Comuni italiani per i lavori dati in appalto.
La maggioranza di centro-destra si è prodotta a questo punto in dotte dissertazioni sulla gerarchia delle fonti del diritto, e alla fine ha presentato due emendamenti che sono stati approvati, ma che hanno snaturato lo spirito e la lettera della mozione, eliminando “ogni riferimento a specifiche soglie salariali minime” e riconducendo tutta la materia “all’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative”.
Il che equivale a citare come atto di indirizzo innovativo per l’Amministrazione comunale il rispetto di leggi che sono già vigenti e che, a questo punto, dobbiamo pensare che non vengano rispettate da chi si aggiudica gli appalti comunali e che finora la dovuta vigilanza degli Uffici comunali in merito non ci sia stata o non abbia dato i risultati che la legge prevede.
Insomma, una articolata scoperta dell’acqua calda, che nulla cambierà rispetto a quanto già avviene da anni, che ha trovato peraltro il voto unanime del Consiglio, forse per accontentarsi almeno di una affermazione di principio sul tema della legalità nel lavoro nella nostra città.
Francamente troppo poco, soprattutto perché si è accettata la cancellazione del riferimento alla quota minima dei 9 euro l’ora, che era nei programmi politici di diversi gruppi consiliari, e che a livello nazionale si propone come una discriminante per segnare un passo avanti nelle politiche salariali, che in Italia, si dovrebbe ricordare, fanno segnare le retribuzioni più base d’Europa.
Un voto appiattito sulla logica burocratica del “si è sempre fatto così”.
Nessun coraggio di innovazione, neppure copiando quello che già in altre parti d’Italia si è fatto. Ma, come a scuola del resto, bisogna sapere copiare.