La Francia vede la rivoluzione politica preannunciata dall’antipasto delle Europee, con una piccola eccezione: la zattera della Macronie, strapazzata da una contesa fortemente polarizzata, sopravvive alla tempesta lepeniana e lancia una richiesta di aiuto tra ambiguità, malumori e appelli repubblicani. Infatti, le urne del primo turno, interpellate ad esprimersi sulla composizione dell’Assemblea Nazionale, hanno confermato certamente la tendenza europea al bipolarismo, caratterizzato da due blocchi politici fortemente connotati, ma hanno tenuto ancora a galla la terra di mezzo.
Le percentuali ufficiali, fornite dal Ministero degli Interni, offrono più di un orientamento. Il Rassemblement National dell’immarcescibile Marine Le Pen e del giovane barone rampante Jordan Bardella stacca con un 33, 15 % il Nouveau Front Populaire, un cartello di partiti di sinistra arrestatosi, invece, al 27, 99 % e modellato sull’omonimo blocco elettorale che nel 1936 vinse le elezioni legislative sotto la guida del socialista Léon Blum.
Segue la formazione terzista Ensemble del presidente Emmanuel Macron arenatasi al 20, 83 %, un numero comunque significativo, nonostante il declino registrato rispetto alla cavalcata degli anni precedenti, che i nostrani terzisti Renzi e Calenda possono soltanto evocare nei sogni.
Escono battuti da un misero 6, 57 % i gollisti del partito Les Républicains, i quali pagano le frizioni ideologiche interne nella definizione di una possibile alleanza con gli estremisti lepeniani e culminate con l’espulsione del presidente Eric Ciotti.
Dunque, il panorama delle alleanze utili alla presentazione delle candidature per il secondo turno elettorale, fissato per domenica prossima, rivela una Francia a tre dimensioni, due delle quali convinte del proprio ruolo storico nella guida del governo francese.
Da una parte, lo sciovinismo razzista, omofobo e capitalista della dinastia dei Le Pen, forgiatosi sulla base di un malessere sociale che esso stesso ha contribuito ad alimentare, spostando la battaglia sui salari, sulle pensioni e sulla ristrutturazione complessiva del welfare state – iniziative legislative che, per posizione ideologica, non potrà mai intraprendere – verso la furia contro l’immigrazione e le istituzioni politiche dell’Unione Europea. Insomma, la solita ricetta della destra fascista per surfare le cicliche crisi di sistema.
Dall’altra parte, a sinistra, un larghissimo spazio di aggregazione che raccoglie la società civile, rappresentata da un consorzio di associazioni ecologiste, transfemministe, femministe e democratiche, e i partiti socialisti e comunisti, tra i quali La France Insoumise di Melenchon, Les Ecologistes, Le Parti Socialiste e il Partito Comunista Francese. Un’impresa non certo alla portata di mano quello di fondare un fronte popolare per la sinistra francese, che, contraddizioni a parte – vedi la questione sull’invio delle armi a Kiev e la posizione intransigente dell’ala più radicale sul genocidio palestinese in corso – ha comunque ritrovato la giusta sintonia per un programma avanzato di giustizia eco-sociale e di critica al capitalismo.
Resta la terza dimensione politica, forse la più temibile, per il suo tatticismo scellerato che ha ringalluzzito l’anima nera del Paese: il macronismo, reo di aver sfilacciato il cordone sanitario che faticosamente la migliore tradizione repubblicana francese aveva posto attorno al passato collaborazionista del Governo fascista di Vichy.
Infatti, Macron, pur di accreditarsi come forza centrista alternativa agli estremismi, è piombato contro il muro delle proprie incoerenze. A mo’ di efficace memorandum, bisogna rammentare le politiche securitarie tutt’alto che moderate oppure l’approvazione della controversa legge sull’immigrazione, ottenuta proprio con i voti di Rassemblement National, per comprendere la responsabilità di Macron nell’aver lentamente istituzionalizzato il fascismo lepeniano, mutando pelle al suo centrismo in un bel vestito di destra, e per capire quanto sia sospettoso, per non dire ambiguo e pericoloso, ora il suo invito a costruire un fronte repubblicano con il Nouveau Front Populaire per evitare che, al secondo turno, Le Pen possa raggiungere la maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale.
Neppure bisogna dimenticare la campagna di criminalizzazione della sinistra portata avanti dal suo Governo, paventando all’opinione pubblica il ritorno di un imprecisato estremismo rosso sotto l’egida di Melenchon, sempre per quella malsana idea di coagulare un moderatismo, ormai quest’ultimo un relitto partitico di una circostanza storica che registrava una momentanea recessione dei programmi socialisti a vantaggio di agende politiche austere.
Riflettere su ciò che è stato il macronismo, pertanto, impone una severa prudenza. Perché, se il guitto Macron ora strizza l’occhio alla sinistra per scongiurare un trapasso politico devastante, i suoi luogotenenti nicchiano, invece, pervicacemente sulla strategia della desistenza propugnata dal fronte popolare per arrestare l’avanzata della restaurazione lepeniana nelle circoscrizioni dove si andrà al ballottaggio durante il secondo turno.
Le elezioni francesi devono certamente impensierire la politica italiana.
Fratelli d’Italia e Rassemblement National ravvisano certe peculiarità comuni che spiegano la ragione della loro credibilità politica. Entrambe le forze non hanno mai fatto mistero delle proprie origini fasciste, quelle radici che oggi incontrano sempre più una larga accettazione pubblica attraverso un procedimento di purificazione degli aspetti violenti e a suon di mistificazioni dei fatti, non da ultimo le accuse di antisemitismo rivolte alla sinistra.
Difatti, Le Pen e Meloni rappresentano, così ingannevolmente acconciate di un conservatorismo amico dei cittadini, il prodotto più genuino del capitalismo, poiché, grazie allo sdoganamento della gestazione fascista, le borghesie industriali preparano il grande assalto alle democrazie, nutrendo il cavallo della rimonta dell’estrema destra congiuntamente all’eterno perseguimento dei propri innaturali profitti a danno della salute dell’ambiente, dell’uguaglianza e della pace.
Il neofascismo, pertanto, non è altro che la fase ultima del capitalismo moderno, dove i conflitti armati e le tensioni sociali sono la manifestazione più sincera. Di fronte alla costituzione di un solido blocco neofascismo-capitalismo, a nulla valgono le soluzioni qualunquiste spacciate per ricette riformiste, con il rischio certo di spalancare definitivamente le porte del parlamentarismo a forze brute ed intolleranti.
Il riformismo all’italiana, non molto dissimile dal macronismo, ha generato, come in Francia, le condizioni perché attecchisse il fascio-populismo e perché il sistema dei partiti si ammalasse, permettendo l’inquinamento delle ideologie, con l’aggravante di aver consegnato il Paese ad anni di ingovernabilità a detrimento del ceto medio, oggi più che assottigliato, e dei ceti sociali più svantaggiati.
L’estate presente segna, dunque, un ritorno alla certezza di vedere contrassegnati in nettezza i due poli dello scenario politico italiano, con il dubbio dell’ex area terzopolista, oramai crollata in numeri e in consenso e schiacciata dalla corrente popolare forzista.
L’opposizione parlamentare, sparpagliata tra Movimento Cinque Stelle, Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra troverà la sua ragione di esistenza, qualora riuscisse ad attuare un programma di regolazione del capitale – una elaborazione che manca da tempo alle nostre latitudini – di crescita dei ceti popolari, di rafforzamento del welfare state e di tutela dell’ambiente.
Questa è la sintesi politica percorribile per instaurare un tempo di pace sociale a beneficio della collettività