Ringrazio Claudio Vassallo per l’accorata riflessione oggi proposta qui, a mo’ di personale risonanza di ciò che Ernesto Maria Ruffini ha detto presentando, sabato scorso, a San Cataldo, il suo recente libro su una possibile “politica dell’uguaglianza”. E ringrazio anche “IlCaffèQuotidiano” per aver pubblicato, già nei giorni scorsi, una sintesi completa di ciò che è emerso dalla discussione intavolata a partire dal libro “Più uno”.
Vassallo è al contempo realista e ottimista: vede le difficoltà che si parano davanti (e tutt’attorno) a chi vuole tentare di rinnovare la politica su scala nazionale, eppure non rimane scoraggiato, continua a sperare che ci si possa riuscire, magari concretizzando l’appello “comunitario” lanciato da Ruffini. Lavorare insieme è, difatti, l’unica chance di buona riuscita in ogni cosa, specialmente nelle più difficoltose.
Purtroppo il “noi” invocato da Ruffini resta un pronome misconosciuto nella grammatica di molti sedicenti politici: una parolina che non rientra nel loro striminzito vocabolario.
E anche a San Cataldo questa anemia comunitaria sabato scorso ha fatto una penosa mostra di sé, dissimulata dal massiccio afflusso di partecipanti provenienti da altre parti della provincia nissena e da altre province, da Catania a Palermo, passando per Agrigento.
Pochi, difatti, i sancataldesi che hanno accettato l’invito a riflettere insieme a Ruffini e ai relatori intervenuti a parlare sul suo libro.
Non c’erano i politicanti locali: al netto di alcune individuali presenze, compresi tra queste il sindaco e il presidente del consiglio comunale, nessun altro segnale di primavere, né alcun significativo ondeggiare di spighe, né tanto meno alcun volenteroso deciso a riprendersi la città. Non parliamo di certe sigle partitiche ufficiali. Non c’erano assessori, non c’erano ex assessori. Non c’erano assessori in pectore. Non c’erano capibastone e neppure ruote di scorta.
Queste assenze, comunque, non preoccupano più di tanto: sono soltanto quattro i gatti che presumono di far politica in loco (il che significa: che si agitano nei mesi immediatamente precedenti alle elezioni comunali per raccogliere voti per l’amico di turno o semplicemente per impedire l’elezione del proprio avversario).
Invece preoccupa il disinteresse distratto di tante altre persone: degli imprenditori locali, degli artigiani, degli impiegati, degli insegnanti nelle scuole cittadine e perciò degli educatori e dei formatori, degli operatori pastorali (giriamola così) che nelle parrocchie e negli oratori si occupano dei nostri ragazzi, di chi organizza rappresentazioni teatrali e concerti chiedendo a destra e a manca qualche piccolo finanziamento per realizzarli, dei giovani che cercano lavoro e fanno concorsi pubblici nutrendo la speranza di vivere con lo stipendio statale. Insomma di tutti coloro che avrebbero buone ragioni per prendersi una pausa (dal nulla e dal vuoto, dalla noia e dall’inerzia, dal silenzio quotidiano non meno che dal baccano festaiolo, dalle partite in tv e dalle pseudo-devozioni) al fine di profittare dell’occasione per riflettere, per confrontarsi col progetto di qualcuno che vuole rinnovare le cose (peraltro in una prospettiva di ispirazione convintamente cattolica e al contempo lucidamente laica).
Mi si potrà dire che siamo tutti impegnati, in azienda, al negozio, in oratorio, al teatro… Ma è sempre la stessa antifona: mai nessuno che si organizzi, magari facendo a turno (oggi vado io a sentire, e tu rimani in azienda, o al negozio, o in parrocchia; la prossima volta andrai tu). Quando c’è da “pensare”, manca il tempo, che è assorbito inesorabilmente dal “fare”.
Purtroppo questo vale specialmente per chi dice di essere affaccendato in politica, presumendo di voler e saper “fare” politica senza prendersi la briga di incontrarsi e confrontarsi con chi la “pensa”. Ma fa bene le cose solo chi le pensa. Chi non pensa, non fa: fa finta di fare.
Don Massimo Naro