LA TRATTATIVA

fiorellafalci
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In questi giorni post-elettorali, ad una settimana dall’insediamento del nuovo Consiglio Comunale, i retroscena giornalistici che brillantemente emergono sui social raccontano di grandi manovre nelle segreterie politiche tra Caltanissetta e Palermo, passando per l’Assemblea Regionale, con cento fili tenuti intrecciati nelle mani del deputato regionale di Forza Italia, partito di maggioranza della maggioranza, a cui tutti farebbero riferimento per sciogliere i nodi.

Quali assessori nominare al posto dei tre “segnaposto” indicati prima del voto, probabilmente per non scatenare appetiti prematuri sulle presenze in Giunta che invece, sembrerebbe, sarebbero destinati a rimanere in carica per altri sei mesi, in attesa di non si sa bene quali “verifiche”?

Stiamo parlando di parlamentari nazionali, di segretari provinciali di partiti, tutti residenti ben distanti dal capoluogo nisseno, che nella migliore delle ipotesi sarebbero costretti ad un affannoso pendolarismo istituzionale e nella peggiore perennemente assenti dal lavoro quotidiano dell’Amministrazione.

Chi sarà il Presidente del Consiglio Comunale, e chi il suo Vice? Si intrecciano su questo tema le ipotesi più diverse, spaziando da esponenti dell’opposizione a cui, in un clima di rispetto istituzionale, potrebbe essere opportuno riservare la guida del civico consesso, proprio per distinguerne le funzioni, come la legge prevede, rispetto all’esecutivo, e si discetta su chi possa rappresentare più degnamente l’opposizione stessa, frantumata in gruppi monocratici tra i quali, tranne qualche eccezione, si fa fatica ad individuare linee interpretative, di progetto o di orientamento comune.

Dalla maggioranza che ha vinto, peraltro, emergono tracce di accordi pregressi con l’individuazione del partito a cui la Presidenza sarebbe stata promessa a compensazione rispetto agli assessorati. Certo, l’accordo, se c’è stato, era stato siglato prima del voto, quando i sondaggi davano Fratelli d’Italia primo partito vincente, invece le urne nissene lo hanno ridimensionato al rango di terza lista, dopo Forza Italia e Avanti così Gambino sindaco, per cui forse il titolo rivendicato è scaduto e l’accordo è andato in prescrizione.

Il punto, tuttavia, è un altro.

Chi sta discutendo, chi deciderà cosa succederà il 10 luglio nell’Aula del Consiglio Comunale di Caltanissetta? Perché tutti i soggetti politici si affollano nella segreteria del notabile coordinatore abdicando alla propria libertà di azione e alla propria capacità di elaborare soluzioni e costruire mediazioni, come prevedono i fondamentali della politica per chi ambisce a rappresentare la sovranità popolare?

La soluzione al rebus da somministrare alla città capoluogo, verrà calata dall’alto, in una situazione complessa da dopoguerra cittadino, dopo che si sono inaspriti oltre misura i conflitti e i toni nello scontro elettorale, dichiarato e/o sommerso, scontro che si è consumato in un clima da guerra civile, di cui ancora non sono emerse tutte le conseguenze distruttive?

La democrazia dei notabili ha funzionato in Italia e in Sicilia nei primi 60 anni della storia unitaria, in assenza di movimenti politici di massa che imponessero all’agenda di governo questioni epocali come le riforme di struttura, la terra, la scuola, la sanità, i temi grandi dei diritti civili, movimenti che hanno costruito, dal secondo dopoguerra in poi, un protagonismo popolare diffuso, spazzando via, ad ondate successive, i mediatori classici del consenso nelle periferie dello Stato.

Negli ultimi decenni della nostra storia, invece, sembrano ritornare gli schemi del notabilato liberale di ‘800 e primo ‘900, e in Sicilia l’autonomia speciale della Regione ha alimentato un ceto politico di mediatori di consenso che sempre più ha perduto capacità progettuale ed efficacia di governo, portando la nostra Regione sempre più in basso nell’economia, nella sanità, nel welfare, in picchiata verso la desertificazione demografica, ambientale e civile.

La democrazia di questi tempi difficili avrebbe bisogno di una forza più autentica, radicata nelle scelte degli elettori e alimentata da processi partecipativi reali, senza delegare all’esterno, senza feudalesimo, e soprattutto alla luce del sole, rendendo ragione delle scelte e dei criteri su cui sono fondate, esplicitandone i motivi, prefigurando le conseguenze, chiedendosi soprattutto qual è il fine, l’obiettivo verso il quale le scelte si propongono.

Naturalmente il fine dovrebbe essere il bene comune, il migliore possibile, il più libero da interessi di parte, da logiche di mercato, da scambi di potere.

Le istituzioni hanno la loro dignità, perché sono lo specchio della volontà popolare, della sovranità democratica, vanno rispettate e abitate con intelligenza politica, non occupate come un “bivacco di manipoli”… anche perché non si vede un nuovo Duce all’orizzonte, almeno dalle nostre parti.

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