Negli anni ’60 della prima Repubblica Aldo Moro (o forse Eugenio Scalfari) coniò l’espressione immaginifica delle “convergenze parallele”, ossimoro e paradosso che sosteneva il percorso di avvicinamento tra forze politiche antitetiche sulla base di scelte inedite e coraggiose (il primo centro-sinistra con i socialisti e poi il compromesso storico con il PCI).
Oggi, nella nostra piccola Città sono in campo invece opzioni diverse, intorno all’ultimo atto della battaglia per la conquista del governo comunale, che si sono materializzate nell’ultima scelta che la normativa amministrativa prevede, e cioè la nomina degli assessori dei due candidati sindaci prima del ballottaggio e l’eventuale apparentamento delle liste, per puntare al premio di maggioranza e aggiudicarsi 15 seggi in Consiglio Comunale, maggioranza assoluta.
Il centro-destra si presentava in leggero vantaggio, ha confermato gli assessori già indicati al primo turno, compresi i tre “segnaposto” segretari e coordinatori da sostituire in caso di vittoria senza scoprire le carte anzitempo e perdere per strada qualche pezzo della coalizione.
Il sindaco uscente, superato di misura da una dei competitor, avrebbe potuto realizzare un apparentamento tecnico con le liste del centro-destra, cioè un rassemblement delle liste che avrebbe superato il 50%, aggiudicandosi quindi automaticamente il premio di maggioranza, eleggendo alcuni consiglieri in più, anche in caso di vittoria della competitor, che così non avrebbe potuto contare su una maggioranza consiliare a sostegno della propria amministrazione.
Tutto questo senza nessun coinvolgimento nella squadra degli assessori (sarebbe stato un apparentamento politico in questo caso) ma soltanto un espediente tattico, previsto dalla normativa, per consolidare la propria presenza nell’istituzione cittadina, valorizzando peraltro un risultato che aveva visto il sindaco uscente totalizzare il 40% in più di consensi personali rispetto alle proprie liste. Peraltro, con le liste della competitor il 50% non sarebbe stato raggiungibile, quindi non esisteva alternativa.
Ma non è stato fatto. Una scelta inequivocabile di fedeltà all’autonomia del proprio progetto politico e di coerenza rispettosa della libertà di scelta degli elettori, anche a costo di non guadagnare consiglieri.
Nell’ultimo comparto del panorama elettorale, quello del rassemblement di liste civiche dai nomi fantasiosi, altrettanta coerenza con la propria impostazione originaria, ma con un esito differente.
Nella prima indicazione degli assessori, infatti, erano state scelte sei personalità, tutte, nessuna esclusa, già passate attraverso esperienze politiche ben definite nel passato recente, rintracciabili a 360° in tutto il panorama politico locale ma rigorosamente spogliate dei simboli politici di eventuale riferimento, sotto l’egida del dichiararsi “né di destra, né di sinistra, né di centro”.
Si puntava così ad interpretare la categoria sociologica del “partito pigliatutto” (catch-all party), unificato dal voto-contro, cavalcando il malcontento per i tanti problemi non risolti e martellando ormai da mesi con una mobilitazione mediatica efficace nel produrre slogan, in cui i desideri e le constatazioni venivano presentati come programmi e proposte amministrative, anche indicando maldestramente come obiettivi futuri progetti già in corso di realizzazione, finanziati ed appaltati, la cui portata innovativa veniva così occultata dal fumus della propaganda.
Nel secondo tempo della competizione, coerentemente, si è scelto di imbarcare una frangia di centro-destra che non aveva superato il primo turno né con la lista né con il candidato-sindaco, annettendone nella squadra degli assessori due esponenti, e portando così ad un terzo del totale la presenza travestita di Forza Italia nella compagine proposta per amministrare.
Contro tutti quindi, con aggressività e veleni, ma “todos caballeros”, come diceva Carlo V ai popoli sottomessi a cui voleva far credere di essere privilegiati dalla sua potenza. Ad una condizione però: dimenticare e far dimenticare la propria storia, identità, posizione politica e tradurla nel nuovo codice indifferenziato che rivela la matrice antica del trasformismo, cromosoma fondativo di certa classe dirigente siciliana in particolare, quella storicamente legata ai poteri forti e apparentemente modernizzatrice che, da Crispi al fascismo fino alla seconda Repubblica ha comandato, senza governarla, la nostra società con i suoi secolari problemi. Lasciandoli irrisolti.
Coerenza quindi, anche in questo caso, con feroce e spregiudicata determinazione.
Coerenze parallele, senza convergenze questa volta, almeno per quello che si dichiara. La politica del governo locale, in una realtà come la nostra, avrebbe richiesto molto di più: capacità di confronto autentico, progetti di sviluppo veri, alternativi ma disponibili ad una mediazione costruttiva, aggregazione e senso della comunità oltre i confini del posizionamento, spesso virtuale. Meno propaganda e più sostanza di contenuti.

Più politica insomma, ma la politica era diventata un orpello da nascondere e travestire, forse perché non si è stati capaci di pensarla e praticarla nelle condizioni nuove che la storia ci ha consegnato