OLIMPIADI: FINALMENTE IL MONDO E’ DI TUTTI

fiorellafalci
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Dalle Olimpiadi una nuova idea di Nazione

La squadra italiana femminile di Pallavolo, medaglia d’oro alle Olimpiadi, è l’icona di un’Italia nazione plurale, che ha superato l’identità etnica come connotato di esclusione, in cui i volti e i corpi possono avere colori diversi, e i cognomi evocare paesi lontani, senza scalfire l’entusiasmo di una identificazione con il Paese in cui si è scelto di vivere e che si è orgogliosi di rappresentare.

Finalmente marginalizzate nel sentire comune le pseudo-teorie razziali degli “ariani in ritardo”, costretti al silenzio dalla vittoria strepitosa delle medaglie d’oro, o a complimenti di circostanza come Salvini e Vannacci.

Ad una Patria si appartiene per scelta, in un mondo globale in cui il diritto alla mobilità sul territorio del pianeta, di cui aveva parlato Kant all’inizio dell’800 come premessa per la pace nel mondo, comincia a produrre frutti positivi, con enorme fatica e ancora troppe discriminazioni, ma lo scenario vip delle Olimpiadi lo ha rappresentato inequivocabilmente, finalmente, e non soltanto per l’Italia.

Nelle squadre di quasi tutti i paesi più importanti infatti la presenza di atleti di tutti i colori è ormai un dato acquisito, che non fa più notizia.

Con una differenza però.

Ci sono paesi, come la Francia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, che devono queste presenze ad un passato coloniale di sfruttamento dei territori del mondo, ad una logica imperiale di dominio, superata ormai dalla storia, che ha lasciato questa eredità.

Gli Stati Uniti e l’Italia, invece, devono la multiculturalità dei propri atleti soprattutto alle migrazioni, alla propria capacità di accogliere e integrare popoli diversi che cercavano lavoro, dignità, pace, vita, e da ogni parte del mondo sono arrivati e ne hanno costruito lo sviluppo e la ricchezza lavorando duramente.

Con una differenza ulteriore. Gli Stati Uniti hanno nella loro storia la macchia della schiavitù  dei neri, per due secoli contraddizione vergognosa nel paese che voleva essere delle libertà e delle opportunità per tutti, e che soltanto dagli anni ‘60  del ‘900 ha acquisito la necessità di una piena integrazione, fino ad eleggere nel 2009 un Presidente di colore, Barak Obama.

In Italia gli atleti colored non sono figli della nostra breve e vergognosa esperienza coloniale ma della scelta di generazioni di africani e asiatici che hanno cercato, attraversando il Mediterraneo, libertà e lavoro e sono rimasti nel nostro Paese facendolo diventare anche il loro, nonostante ancora tante discriminazioni, sfruttamento e razzismo più o meno strisciante.

I successi delle Olimpiadi dovrebbero dare la spinta decisiva alla legge sullo jus soli, che accelera l’acquisizione della cittadinanza per chi è nato in Italia (come avviene da sempre negli USA) o che ha completato il primo ciclo di studi nel nostro Paese. Non ci sono più alibi di identità etnica per la Destra al Governo e le Olimpiadi ne hanno sancito nei fatti la necessità.

Ma ci sono altri segni dei tempi che hanno qualificato le Olimpiadi di Parigi come lo specchio di un mondo che cambia.

Il protagonismo delle donne: la maggior parte delle medaglie italiane sono state conquistate dalle atlete, anche in sport meno tradizionali, la Maratona femminile, a lungo osteggiata, ha chiuso solennemente i giochi con la vittoria di una olandese di origine etiope. Imane Khelif, la pugile algerina, ha vinto l’oro nella capitale del paese che per più di un secolo aveva oppresso e sfruttato il suo, segno di un riscatto personale e nazionale inestimabile.

Molti atleti e atlete hanno mostrato senza problemi la loro bisessualità/omosessualità.

Di grande valore educativo il modo di affrontare la sconfitta che ci hanno consegnato i due giganti dell’atletica italiana: Gianmarco Tamberi e Marcel Jacobs. Impegnati fino allo stremo delle forze, anche se consapevoli dei limiti fisici (Tamberi) e della superiorità degli avversari (Jacobs).

Insegnare ai nostri ragazzi la dignità della sconfitta è un contributo ancora più importante della mistica della vittoria, che alimenta l’ansia e il senso di inadeguatezza da cui la generazione attuale è spesso devastata.

Probabilmente il mondo rimarrà quello che è stato finora, ad Olimpiadi concluse. Ma i segni e i semi che sono stati lanciati dalla ribalta mediatica più seguita del mondo produrranno dei frutti di cambiamento anche nella mentalità comune, prima ancora che nella legislazione.

L’idea di Nazione, parola abusata dall’attuale governo di destra con un’accezione sovranista ed escludente, non può essere più quella ottocentesca del “sangue e terra” di paesi che lottavano due secoli fa per la propria indipendenza dagli imperi.

Non a caso la nostra Costituzione per definire l’Italia non usa il termine nazione ma Repubblica democratica, accentuando l’identificazione collettiva rispetto al bene comune (Res publica) e rispetto all’inclusività della democrazia come sistema di partecipazione al potere.

La Nazione del mondo contemporaneo è la patria/matria costruita dalle sceltecondivise di donne e uomini che si riconoscono liberamente nella scelta di vivere e di lavorare nel nostro territorio, di condividere la sua tradizione culturale e di concorrere in modo paritario alla cultura del presente e del futuro.

Non è facile costruirla, non la si può imporre o cancellare con la forza. Bisogna sapere governare i processi, mettere da parte le ideologie, garantire i diritti e le libertà di tutte e di tutti, con intelligenza politica e soprattutto con un senso più elevato di umanità.

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