Padre Pietro Genco nel ricordo di Roberto Mistretta

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Padre Pietro Genco mi piacque subito.

Non ricordo che età avessi quando lo vidi per la prima volta, ma ero nicu assai.

Ricordo però il posto, ‘u chianu di Sangiuanni, e ricordo lui, alto, magro e con un sorriso che conquistava all’istante, tanto quanto il clergyman che indossava con eleganza e nonchalance.

Erano gli anni Sessanta che già cedevano ai Settanta e io non avevo mai visto prima di allora quell’abito ecclesiastico composto da giacca e pantaloni, con pettorale nero e collarino bianco. Ero abituato alle lunghe sottane nere degli altri parrini più in età e perciò vidi la modernità nei suoi occhi ridenti e nella sua gioventù.

Con mia madre erano cresciuti nello stesso quartiere e in pratica si conoscevano da tempo. E grazie alla loro amicizia anche io entrai nelle sue grazie fin da allora. Una confidenza che non si attenuò nel tempo e che ci consentiva, quando anch’io ebbi ben più dell’età che aveva lui quando l’avevo conosciuto, di parlare di tutto, guardandoci dritto negli occhi, perché la sincerità dà un senso più pieno alle parole, le fa diventare credibili, non solo suoni vuoti.

Le parole sono importanti, è vero, ma il calore che le accompagna lo è ancora di più.

Buon viaggio, caro padre Pietro.

Qui uno dei suoi ultimi atti da arciprete. Ne scrissi a fine ottobre del 2021 su La Sicilia.

Organo alla madrice donato dall’arciprete che ha usato i buoni fruttiferi lasciategli in dote dai genitori

Mussomeli. Dal San Domenico di Palermo, dove l’arciprete don Pietro Genco lo ha acquistato grazie ai buoni fruttiferi lasciategli in dote dai genitori, alla Madrice di Mussomeli, dove stasera alle 19.30 l’organo artistico a canne sarà inaugurato con un concerto del Maestro Diego Cannizzaro del Conservatorio Bellini e la partecipazione del Coro parrocchiale della Madrice.

L’organo, costruito dalla maestria dei fratelli Cimino di Agrigento, è stato abbellito dall’estro creativo del restauratore Rosario Prizzi.

Un regalo alla propria comunità e alla propria parrocchia che l’arciprete ha voluto fare, impegnando fondi propri, dopo che per tanti anni aveva atteso invano che dall’assessorato regionale arrivasse risposta alla sua domanda formale di restauro, reiterata anno dopo anno, per recuperare il vecchio organo che era stato smontato pezzo per pezzo.

Stufo di aspettare i tempi biblici della burocrazia,don Pietro ha messo mano alle proprie finanze e ha acquistato l’organo a canne dal panteon di Palermo, che con le sue note solenni aveva accompagnato anche momenti storici di illustri siciliani, e ha fatto il resto, ovvero farlo restaurare e montare.

Una semplice targhetta ricorderà i genitori di don Pietro Genco, papà Giuseppe e mamma Giuseppina Dilena, i cui sacrifici economici rivivranno nelle note dell’organo.

“I miei genitori si sono sposati in questa chiesa, accompagnati all’altare dalle note dell’organo al matrimonio, io sono stato battezzato qua e in questa chiesa sono ritornato da prete. Ho voluto lasciare un segno tangibile della mia presenza –dice don Pietro- e visto che i miei genitori come dote mi avevano lasciato dei buoni fruttiferi, di quelli di una volta che raddoppiavano alla scadenza e visto che tali buoni sono scaduti lo scorso anno, ho detto basta. Non ho più tempo per aspettare l’assessorato. Sono dieci anni che presentavo domanda per ristrutturare il vecchio organo, poi ho detto basta.”

Il vecchio organo, a cui in anni lontani si erano alternati come organisti Tanuzzu Padalino, che poi emigrò in America, e dopo di lui il fratello Cenzu Padalino e poi, Michele Barba (come ha ricordato di recente don Salvatore Tuzzeo che frequentava la madrice, da aspirante ragazzo di Azione Cattolica e di cui ancora conserva la tessera), oltre trent’anni fa era stato smontato. Le canne erano state conservate in vari posti, da ultimo in una casa il cui tetto poi era crollato. Quando l’arciprete decise di mettere mano al proprio portafogli per farlo restaurare, il restauratore che lo esaminò disse che era impossibile recuperarlo e bisognava rifarlo ex novo. Quindi don Pietro si guardò attorno, volendo lasciare a sua memoria il ripristino dell’organo, com’era in origine alla madrice nei suoi ricordi da bambino. Contattò i frati del San Domenico a Palermo, avendo saputo che dovevano dismettere l’organo a canne in questione che avevano fatto costruire da Ruffanti, pattuirono il prezzo e quindi lo affidò alle cure del restauratore. E stasera un grandioso organo a canne tornerà a fare sentire il suono delle proprie note nella chiesa di San Ludovico, meglio noto come la madrice di Mussomeli.

ROBERTO MISTRETTA

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