Caltanissetta ha il suo nuovo Sindaco: verdetto chiaro, Tesauro 52,36% Petitto 47,64%, nessuna sorpresa o capovolgimento rispetto al primo turno e soprattutto rispetto alla tradizione moderata e conservatrice della città.
I voti riportati dai due sfidanti sono stati quasi uguali, in cifra assoluta, a quelli del primo turno, (10.052/10.610 Tesauro, 9.000/9.654 Petitto) con la differenza, pesantissima, di una percentuale di votanti crollata al 38, 31%: al ballottaggio hanno votato 20.880 nisseni, a fronte dei 30.507 (55,91%) dell’8 e 9 giugno.
Quasi 10.000 elettori, un terzo del totale, sono rimasti a casa e non hanno voluto esprimersi in alcun modo rispetto all’elezione del Sindaco.
Gli 8.167 elettori di Roberto Gambino evidentemente non si sono “apparentati” in misura significativa con nessuno dei due, idem per i 1.634 elettori di Angelo Failla, che sembra si siano equamente distribuiti nonostante l’alleanza dichiarata con Annalisa Petitto.
Smentite quindi le dietrologie dei complottisti sulle “trattative segrete” che hanno infiammato e in qualche caso infangato il cortile dei social per due settimane, non ha pagato l’opzione-donna sganciata da un riferimento politico leggibile, non ha pagato il trasformismo civico dei tanti esponenti e gruppi di lungo e variegato corso politico rigenerati nel cartello del voto-contro.
Soprattutto non ha pagato, se non a vantaggio del centro-destra, la resa del PD che per la seconda volta in dieci anni rinuncia a presentare una lista con il proprio simbolo per il Comune, rinunciando a dare rappresentanza cittadina ai 2.954 nisseni che l’8 e 9 giugno hanno votato PD alle elezioni europee, rimanendo ancora una volta fuori dal Consiglio Comunale, senza eleggere nessun consigliere nella miriade di liste civiche in cui aveva distribuito i suoi esponenti.
Sembrerebbe una volontà deliberata di autodistruzione del Partito Democratico del capoluogo, eterodiretto peraltro dai livelli regionali e nazionali, timorosi di mostrarsi impietosamente fragili nel rapporto diretto con i cittadini sul territorio, che nelle elezioni amministrative misura il radicamento reale di una forza politica, al di là dell’appeal mediatico delle elezioni nazionali o europee, che richiedono molta minor fatica di presenza e di riconoscibilità capillare, sfruttando il carisma dei leader nazionali e l’informazione televisiva.
Non ha pagato il gioco cinico degli strateghi nisseni di importazione: “Se si vince ci siamo anche noi, se si perde noi non c’eravamo” e il risultato è stato l’umiliazione ingenerosa di chi ha avuto il coraggio di candidarsi e di rimanere coerente anche con scelte non completamente condivise, bruciando una nuova generazione che avrebbe potuto rappresentare una ripartenza interessante e nel medio termine una alternativa credibile.
Ma forse era proprio questo che si voleva impedire: la crescita di un nuovo gruppo dirigente autonomo dai giochi di potere, che si è voluto soffocare sul nascere, non si sa mai, per poter continuare a tenere in gabella il piccolo feudo nisseno, di riserva, casomai, al dominio gelese.
A Gela infatti il “campo largo”, l’alleanza PD-Movimento 5 stelle, si è realizzato e alla fine ha avuto successo, alleanza pervicacemente respinta invece nel capoluogo, nonostante la disponibilità prioritaria che il Sindaco Gambino aveva offerto al PD in tempi largamente non sospetti.
Sembrerebbe persino un gioco delle parti di un consociativismo non dichiarato tra i notabili che gestiscono il territorio: Gela e il sud al centro-sinistra, Caltanissetta e il Vallone, spopolati e sempre più marginali, al centro-destra che in fondo li gestisce da sempre, per il poco che valgono ormai.
Un dato politico evidente, indiscutibile, dopo queste elezioni, è infatti la scomparsa del PD e della sinistra dal governo amministrativo della città, paradossalmente proprio mentre sul piano generale, e anche a Caltanissetta, le elezioni europee segnavano una crescita sia del PD che dell’Alleanza Verdi e Sinistra Italiana, dimostrando quindi una potenzialità che non è stata compresa in tempo utile né quindi valorizzata adeguatamente nella battaglia amministrativa.
Si è preferito rifugiarsi negli espedienti, giocare di traverso, travestiti, facendo spazio così a chi un rapporto strutturato con il territorio continuava ad avercelo e lo ha dimostrato: il centro-destra ed i suoi partiti, con il patronage dei loro parlamentari e dei loro apparati, che hanno piantato sulla carta geopolitica del territorio la loro bandierina su Caltanissetta secondo il loro schema gerarchico tradizionale.
Almeno sono stati riconoscibili, non si sono vergognati di esserlo, e hanno dimostrato di saper mantenere un rapporto politico con gli elettori, anche senza il traino delle liste per il Consiglio Comunale. E non era scontato.
La politica non si inventa, non si fa con i giochi di prestigio, con le trovate propagandistiche o con il trasformismo populista, ha bisogno di idee, progetti, legami sociali, costruiti capillarmente, organizzando movimenti, iniziative di lotta, formazione culturale, lavorando nel tempo, soprattutto rendendo evidente che quello che si fa non risponde ad interessi particolari, personali, non è strumento di leaderismi interessati, ma costruisce qualcosa per tutti, il famoso “bene comune” che rappresenta le identità condivise, il senso di appartenenza a qualcosa che ci trascende, per la quale vale la pena di sacrificarsi, di lottare.
Almeno per chi vuole esprimere una identità progressista, democratica, di sinistra.
Tutto il resto dura lo spazio di un mattino, non lascia traccia, non costruisce futuro. Tutt’al più fa il gioco dell’avversario. Non sappiamo se disinteressatamente.