L’acqua potabile arriva (o non arriva) a Caltanissetta attraverso il servizio di Siciliacque s.p.a., una società mista classificata come “impresa pubblica” che gestisce il sistema idrico regionale e il trasporto dell’acqua fino ai serbatoi cittadini.
La proprietà di Siciliacque è costituita per il 75% da soci industriali (Idrosicilia controllata da Italgas) e per il 25% dalla Regione Siciliana, che nomina, attraverso il suo Presidente, il presidente del Consiglio di Amministrazione e tre dei 5 membri del Consiglio stesso.
La governance di Siciliacque è quindi saldamente espressione della politica regionale, con quello che comporta in termini di responsabilità per l’inefficienza di un servizio che non garantisce uno dei diritti fondamentali e irrinunciabili per la salute pubblica e la dignità della cittadinanza.
Siciliacque, con 13 sistemi idrici interconnessi, si dovrebbe occupare di tutte le infrastrutture e gli impianti necessari alla raccolta, potabilizzazione e distribuzione dell’acqua fino alle soglie delle città.
In questo viaggio, le rotture dei tubi e i guasti si ripetono continuamente, disperdendo il 52% dell’acqua (dati Eurispes 2023). Tutto questo non ha giustificazioni e si spiega con una annosa e colpevole negligenza rispetto al dovere della manutenzione, dell’ammodernamento e della ricerca di nuove risorse.
È particolarmente sorprendente, peraltro, che in piena campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Caltanissetta la città sia colpita quotidianamente dai disservizi idrici che assetano una popolazione di 60.000 abitanti con una “ordinaria amministrazione” che fa acqua da tutte le parti tranne che nei rubinetti delle case e delle aziende dei nisseni.
Del resto, aprire e chiudere “a tempo” i rubinetti dei rifornimenti idrici rientrava storicamente nelle strategie elettorali della prima Repubblica.
Il risultato è quello di fomentare le proteste e l’esasperazione dei cittadini, che invece stanno trovando nel Comune un riferimento attivo e puntuale per fronteggiare l’emergenza, a fronte dell’indifferenza del presidente della Regione, che non ha neppure risposto agli appelli del Sindaco che lo ha richiamato più volte alle sue responsabilità.
L’acqua è un diritto primario, non si può strumentalizzare a fini politici né far pagare ai cittadini l’incapacità di Siciliacque e della Regione di far funzionare i sistemi idrici e governare anche le emergenze con una programmazione razionale delle risorse e una lungimirante ricerca e attivazione di fonti alternative.
Ci sono tutte le premesse per attivare una class action nei confronti di Siciliacque, un procedimento legale a tutela dei diritti dei cittadini consumatori, azione che il Comune potrebbe avviare, raccogliendo l’adesione di migliaia di cittadini e sostenendone le spese legali.
L’acqua è un bene pubblico primario ed è già anomalo, dopo i referendum sull’acqua pubblica, che sia gestita da privati (Caltaqua) con tariffe che poco tengono conto del disagio sociale, sempre pronti a chiudere i contatori alla prima morosità, come ben sanno i cittadini nisseni.
L’azione legale collettiva potrebbe essere un segno importante di risveglio della responsabilità civile e del senso di appartenenza dei nisseni, ben più efficaci dei proclami elettoralistici o delle proteste fuori bersaglio su cui prospera il qualunquismo inconcludente.
È l’unico modo utile per “farsi sentire”.