Assistiamo ad un continuo aumento delle malattie cardiovascolari e delle malattie oncologiche. Un aumento che alcuni attribuiscono ai ritmi incessanti e frenetici della vita contemporanea, altri all’alimentazione e alle sostanze tossiche, altri ancora al Covid-19 e ai vaccini per prevenirlo e combatterlo. Non lo so, non sono un medico. So che la vita è pura contingenza e precarietà.
So invece, da un punto di vista sociologico, che viviamo in una società individualista ed egocentrica dove le persone oggi si chiamano amici, domani semplici conoscenti e dopodomani non si sa.
Lo sapevamo già e lo sappiamo. Non c’è da meravigliarsi. La nostra è una “società liquida” priva di veri affetti.
Esiste anche una teoria neuro-psico-immunitaria che attribuisce un valore patologico alle relazioni tossiche e problematiche, capaci di minare la salute degli esseri umani. Passa grande differenza tra chi è sereno e chi non lo è.
Non ci sorprende la criticità di mutazioni psicologiche e comportamentali che sono causate esclusivamente dalla motivazione e dall’interesse personale.
E, infatti, capita anche di ammalarsi e di morire da soli, nell’indifferenza cinica di tutti. Sono cambiati i tempi e nulla è più come prima, quando le relazioni amicali ed affettive venivano coltivate e sostenute dalla pro socialità delle persone (altruismo, empatia, intelligenza emotiva, dedizione di sé all’altro che soffre).
Ricordiamo i sorrisi spontanei e gli abbracci calorosi e sentiti tra le persone. Un mondo più genuino e autentico che ci faceva sentire meno soli, un fare comunità che ci coinvolgeva e ci appassionava nella realizzazione di progetti virtuosi, concreti, utili e ragionevoli per la crescita collettiva delle coscienze. Progetti che non si limitavano alla ricaduta economica, se le finalità perseguite erano quelle di potenziare e valorizzare le competenze umane.
Oggi la fretta, il corri corri, il consumare per consumarsi, pensando ai soldi da ammucchiare e alle carriere da foraggiare, irretiti dalla fretta di una esistenza ansiosa e depressa che non ha orizzonti spirituali da alimentare per il benessere individuale e collettivo.
E correre perché? Sempre fermo è il termine ultimo e definitivo della vita, al quale nessuno può sfuggire: la morte.
Quasi tutti gli uomini, soltanto a questo pensano: nascere, vivere e morire? Tra agi calcolati, rendite proprietarie, ville al mare, automobili di lusso, carriere folgoranti e arrampicate sociali!
È tutta qui la vita? Non c’è un altro senso né un significato possibile e ragionevole per spiegare e sostenere la vita, considerando il male atavico di ingiustizie, guerre, violenze e disastri?
Esistenze sospese, esistenze dubbiose, esistenze in assenza di certezza filosofica e scientifica! Cosa ci rimane?
La solidarietà civile ed umana del non credente Giacomo Leopardi e di tanti altri? O forse la fede, la scommessa di una fede in un Dio misericordioso, ragione delle ragioni, cuore di tutti i cuori, con il suo misterioso e imperscrutabile volere di un atto infinito d’amore che ha creato la vita per amore della vita?
E in tale dilemma, il nostro sentimento spirituale che ci costituisce come esseri umani, il nostro statuto originario di un’umanità che sente, crede e vive “Nel nome del padre”, l’universale verità simbolica che nutre la vita interiore.
Tonino Calà
