Condividere lo spazio pubblico e abitarlo con le proprie emozioni insieme agli altri, con una colonna sonora di musiche che batte il tempo per tutti, impressa nella memoria, da sempre. Questo il segno che la Settimana Santa ha lasciato nella società del nostro territorio, al di là degli aspetti spirituali, legati alla devozione religiosa della nostra gente, in tutti i paesi della Sicilia dell’interno, che ha in Caltanissetta il capoluogo della sua desertificazione.
Grande partecipazione di popolo a tutti gli eventi pubblici, in tutti i paesi: processioni, drammi sacri, cortei delle Corporazioni, eventi notturni, come la processione di S. Caterina, che si svolge in piena notte fino all’alba, come avveniva quando era la “processione dei poveri”, i contadini che a giorno fatto dovevano andare a lavorare nei campi, o come il Venerdì santo a S. Cataldo, con il corteo del Cristo morto alle 7 del mattino, con migliaia di persone assiepate per assistere all’incontro con la Madre addolorata.
Caltanissetta è sembrata un’altra città in questi giorni: una città con un popolo, finalmente visibile, partecipe, attento, emerso fuori dai condomini anonimi per ritrovarsi in centro storico con i simboli della propria identità, le Vare e le Varicedde, la Real Maestranza, il Signore della Città, Gesù Nazareno, ad abitare le strade fino a notte, ad osservare, anche, le sfilate dei potenti dietro i simboli della Passione, di nuovo faccia a faccia, guardandoli negli occhi, verificando la qualità della rappresentanza negli sguardi e nei sorrisi di un popolo che spesso non ha mai visto in faccia chi lo amministra e lo governa.
Per chi amministra dovrebbero essere occasioni preziose, più di mille sondaggi, per valutare il livello di sintonia con il proprio popolo, per dare corpo alla corrente di empatia che al di là di tutte le difficoltà il popolo sa riconoscere, per verificare la credibilità di una relazione tra governanti e governati, oltre l’ipocrisia dell’indifferenza reciproca che vige spesso per tutto il resto dell’anno.
La foto delle autorità cittadine con tutti i deputati della provincia e il responsabile della Protezione civile che sfilavano davanti alla Vara del Sinedrio, il simbolo del potere, e passavano davanti alle case sfollate di via Redentore che da quattro mesi attendono interventi, valeva più di tante parole e di tanti articoli: distopica, straniante, rispetto ad una realtà toccata con mano forse per la prima volta e sicuramente non compresa fino in fondo.
Ma i nisseni hanno scelto di esserci, in prima persona, in carne ed ossa, non nella dimensione virtuale dei social, ma con i loro corpi a distanza ravvicinata, sulle strade, a fissare il loro sguardo sui simboli religiosi in cui la storia di questa terra, fatta di dolore, di sofferenza, di lavoro, si può incrociare con la speranza del cielo. E provare a respirare, finalmente, forse, il vento fresco di futuro possibile.
È un popolo che forse è ancora disponibile ad essere chiamato a lavorare a progetti comuni, disposto a fare tutto quello che può, perché ancora resiste nella memoria della propria identità, anche nei giovani, memoria che è il fondamento di ogni futuro possibile.
Sarebbe giusto e utile raccogliere questo segnale, che non è stato soltanto desiderio di partecipare agli “eventi” da spettatori, consumatori anche del sacro, una volta l’anno, per ricaricare le batterie della sopravvivenza e galleggiare nella rassegnazione per altri 360 giorni.
Migliaia di persone che si sono ritrovate nello spazio pubblico possono essere un potenziale di energia preziosa per una società stanca ed esausta di fallimenti come la nostra, se questa energia trova una forma sociale per esprimersi in positivo, per ricucire i sogni tra i giovani e i vecchi, (troppi, tra di noi), per farsi ascoltare ogni giorno e trovare parole significative e azioni efficaci per costruire progetti concreti di crescita e di sviluppo.
La nostra Settimana Santa affonda la sua storia nella volontà di autorappresentazione nello spazio pubblico proprio del popolo lavoratore: contadini, artigiani, zolfatai e imprenditori che hanno saputo emergere dal sottosuolo della storia per segnare lo spazio pubblico della loro presenza, simbolica e concreta, in una città che produceva economia e cultura grazie al loro lavoro. Fino a un secolo fa.
Il presente e il futuro oggi domandano risposte nuove a questo popolo e a chi lo governa. Il desiderio di pensarsi come “Noi” e non più solo come individui è stato testimoniato in questi giorni.
Il popolo nisseno esiste, ancora.
È dovere di una classe dirigente che voglia essere tale trasformarlo in energia positiva e in azione quotidiana di cambiamento che questa energia può ancora sprigionare.
Non perdiamo altro tempo
