“A cosa serve il ricordo” a cura di Andrea Apollonio
La memoria è un fardello pesante, a volte insostenibile, quando ri.chiama in causa i contesti drammatici in cui abbiamo avuto delle responsabilità, e può generare la rimozione, totale o parziale, più che degli eventi proprio di quei contesti, che si cancellano perché consentirebbero di scoprire il senso profondo di quanto è avvenuto.
Per questo risulta pregevole “A cosa serve il ricordo” 14 discorsi commemorativi pronunciati dal Capo dello Stato nel plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, raccolti da Andrea Apollonio, giovane magistrato già autore di diversi saggi sulle mafie, impreziosito da una introduzione di Giovanni Salvi ed una post-fazione di Giovanni Bianconi, edito da Sciascia, che si presenta a Palermo il 27 settembre alle 17, nell’Aula magna della Corte d’Appello.
Il Presidente della Repubblica è anche presidente del CSM e nell’occasione di omicidi di magistrati, per 14 volte dal 1971 al 1992 ha indirizzato all’Organo di autogoverno della Magistratura discorsi commemorativi. Sei Presidenti, nel ventennio più drammatico della storia repubblicana recente, discorsi diversi per tono e stile, attraverso i quali si legge in filigrana la storia dell’Italia in tumultuosa trasformazione, colpita con estrema violenza dalla tenaglia del terrorismo e della mafia, di cui si possono leggere gli intrecci, nella contestualizzazione oggettiva dei testi che fa Apollonio, e nell’ermeneutica di queste fonti proposta da Salvi e Bianconi, con tratti sintetici ma inequivocabili.
Già il primo “cadavere eccellente” (avrebbe scritto Leonardo Sciascia), il Procuratore Pietro Scaglione, ucciso a Palermo nel 1971, fa emergere, nel brevissimo e cauto epitaffio del presidente Saragat, il contesto di ambiguità, depistaggi e omissioni in cui la questione dell’attacco della criminalità mafiosa al cuore dello Stato muoveva i suoi primi passi nel dibattito pubblico. Per quell’omicidio la parola “mafia” fu accuratamente evitata, nei discorsi e nelle lapidi, compare soltanto nei testi delle supreme istituzioni nel 2016, quando il presidente Mattarella lo avrebbe commemorato nel 45° anniversario della morte.
Pietro Scaglione, all’inizio della carriera, aveva raccolto le dichiarazioni esplosive di Gaspare Pisciotta in carcere e avrebbe dovuto verbalizzarle il giorno dopo, ma il veleno nel caffè di Pisciotta era arrivato prima. Quando fu ucciso stava indagando sulla scomparsa misteriosa di Mauro de Mauro, un mistero che è ancora irrisolto.
Ci sono anche gli assenti eccellenti, i magistrati trucidati dalla mafia che non sono stati ricordati nel plenum del CSM da nessun Presidente della Repubblica: Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Antonino Scopelliti. Nel linguaggio della mafia a volte il silenzio comunica più delle parole, e il non detto ha sempre un significato, che non si può evitare di ricercare e di comprendere.
Il filo rosso che lega gli intrecci tra mafia e terrorismo nella storia repubblicana è chiaramente delineato nei testi raccolti nel libro, a partire dalla citazione di Sandro Pertini, che dovette fronteggiare l’attacco parallelo del terrorismo e della mafia, secondo il quale i magistrati uccisi “sono i martiri di una nuova Resistenza contro un nemico spietato della libertà, che colpisce i migliori e più degni proprio perché essi sono la forza e il presidio della nostra democrazia”.
Gli intrecci perversi tra criminalità organizzata, eversione di destra e massoneria, emergevano dall’omicidio di Vittorio Occorsio, ucciso nel 1986 dal terrorista nero Pierluigi Concutelli, proprio mentre stava indagando su questo versante inedito e aveva proceduto ad arresti di insospettabili, membri della P2.
Giovanni Bianconi, nella post-fazione, scrive che “i mafiosi hanno selezionato le loro vittime esclusivamente per il lavoro che avevano fatto o continuavano a fare, quasi fossero delle anomalie da rimuovere all’interno di un sistema contro il quale i boss non avevano nulla; anzi hanno sempre convissuto con esso”.
Ma allora a cosa serve il loro ricordo? Se lo chiedeva con consapevole inquietudine Oscar Luigi Scalfaro, commemorando gli uomini della scorta di Paolo Borsellino: “A che cosa serve il ricordo se diventa monumento ieri e se diventa monumento di parole oggi?” e ancora: “Che cosa si può chiedere ad un popolo se chi chiede non merita la credibilità?”
Sono domande di sconvolgente attualità.