“Penelope”: al Margherita la forza senza violenza delle donne

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La forza di “Penelope” sono le 23 donne sulla scena: colorate, di tutte le età, da o a 88 anni, di tutte le taglie, i pesi e le misure, insieme a raccontare una storia collettiva con la danza di corpi che “danzano con i propri limiti” secondo il metodo di Maria Fux, nello spettacolo di danza creativa di Josephine Giadone, prodotto da Naponos Teatro Etico, con testi di Diletta Costanzo che li recita in scena con Sefora Edith Bello.

Penelope non racconta le donne, le rappresenta: in movimento, imperfette, determinate, vestite di tutti i colori e di tutte le forme, di stoffe preziose e brillanti di paillettes come di semplice tela bianca, senza nascondere i corpi di cui vanno fiere danzando, tutte, abbandonando timidezze e sensi di inadeguatezza in un angolo fuori dal palcoscenico-vita.

Salgono e scendono dal palco, in platea, accompagnate da musiche contemporanee e, dal vivo, dal sax di Giovanni La Placa e le percussioni, discrete e inesorabili, di Santino Merrino; si immergono nell’abbraccio del pubblico e risalgono alle luci della ribalta a dimostrare, clamorosamente, che tutte e tutti possiamo danzare la vita, con la leggerezza dell’autostima riconquistata, con il ritmo e la forza di chi ascolta i battiti del proprio cuore, senza lasciarsi condizionare, ferire, schiacciare da pregiudizi e da tutte le mille forme di violenza che possiamo incontrare tutti i giorni.

Donne insieme, a comporre armonie senza competizione, a smontare la contraddizione più tenace che vuole le donne divise tra loro, lacerate dall’invidia che ne distrugge il potenziale comunitario. Donne capaci di intrecciare le loro vite come i fili della tela di Penelope, simbolo della sapienza femminile e della resilienza di una donna non meno astuta di suo marito Ulisse, capace di tenere testa all’arroganza dei Proci e di mettere alla prova il marito, tornato a casa dopo vent’anni di assenza non sempre involontaria.

Donne che danzano con grazia una vecchiaia luminosa portatrice di una visione di futuro insieme a piccole donne bambine e a una donna non ancora nata, ma presente nel corpo di sua madre, a ricordare a tutti che la chiave della vita sta nella capacità generativa delle donne. Generatrici non solo di corpi ma anche di idee, di stili di relazione, di armonia nelle contraddizioni. Donne che anche quando la scena si spegne continuano a illuminare il buio con la loro presenza invisibile, come tante torce accese nella notte, come in una delle coreografie più suggestive della pièce.

Alla base di questo lavoro c’è il pensiero di una donna, Maria Fux, danzatrice e coreografa argentina che ha dato metodo e teoria alla danza-terapia, affrontando disabilità, patologie, disadattamenti, vecchiaia, con la liberazione dei corpi e delle menti dalla vergogna dei propri limiti, portati con orgoglio sul palcoscenico a danzare.

Nella costruzione coreografica di Josephine Giadone c’è anche l’eco di Pina Bausch e del suo Tanztheater, misto di danza e recitazione, di gesto teatrale e di parola, denso di critica della società patinata e consumistica che tutto riduce a esteriorità inespressiva e omologante.

In “Penelope” nessuna donna è omologata, nessun modello preconfezionato cancella le differenze, tutte valorizzate nel loro essere portatrici di bellezza, tutte leggere senza dare peso ai chili, tutte eleganti nel loro muoversi sinuose e mai svenevoli, portatrici di energia, forti del farsi riconoscere nella propria autenticità, orgogliose del proprio essere.

Una forza che non ha bisogno di violenza, e che per questo ha qualcosa da insegnare, a tutte e a tutti.

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