Personaggi della nostra storia: Hugo Giammusso

Calogero Ariosto
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Hugo Giammusso: Artista, pittore, vignettista satirico. Ufficiale di collegamento con le forze alleate dopo l’otto settembre del ’43. Un Caltanissettese rimasto nell’ombra.

Caltanissetta in apparenza noiosa, protagonista e vittima di una vita tediosa a volte stupisce per i salotti, le minute sale private, i vari luoghi di esercizio di forme d’arte, costantemente accompagnati da una riservatezza ricercata.

Uno dei protagonisti nascosti e – ai più – sconosciuti di siffatto stile di vita è stato un caltanissettese dal cognome così tanto comune in città da doverlo cambiare una volta raggiunto il successo. Ugo (Hugo) Giammusso, in arte “Giam”, è stato un precursore dei vignettisti che sui quotidiani con un bozzetto “fotografano” la notizia.

Autore di celebri locandine di film di enorme successo. Inventore di rinomate figure nella cartellonistica pubblicitaria, Hugo nasce a Caltanissetta il 31 gennaio del 1908.

Segue il normale percorso di studi mostrando una particolare inclinazione per il disegno. Qualcuno se ne accorge e insiste affinché frequenti i corsi d’arte. I suoi progressi lo portano a Roma dove si diploma all’Accademia delle Belle Arti.

E’ un uomo che vive il suo tempo. Sono gli anni del Regime. Parte volontario nel 1935 per l’Africa dove partecipa alla guerra di colonizzazione dell’Abissinia. E’ una esperienza fondamentale che lo mette a confronto con la retorica imperante che abbraccia o da cui prende le distanze secondo il momento e che contribuisce a distillare un animo critico e satirico che lo guiderà lungo la sua carriera.

Nel 1940 si segnala per un manifesto della prima Triennale d’Oltremare di Napoli, l’equivalente della Biennale di Venezia.

L’Italia entra in guerra. Viene richiamato alle armi. Il suo impegno nel conflitto si svolge presso l’Istituto Luce come disegnatore tecnico. Gli è a fianco Alfonso Artioli, pittore e umorista. Ne rimarrà influenzato.

Di carattere schivo e ombroso, dopo il 1943 rimane a Roma, orfana della Corona e degli alti vertici militari. Il nuovo Esercito Italiano ora belligerante a fianco degli Anglo-Americani gli affida il delicato compito di ufficiale di collegamento con le truppe alleate. Conosce molto bene la lingua inglese sia scritta che parlata.

Si trova a svolgere incarichi riservati e pericolosi, incurante del rischio di rappresaglie tedesche. Rimane comunque continuamente nell’ombra.  

Nei primi anni del dopoguerra si scopre pittore, cartellonista e umorista. Comincia a collaborare con il giornale satirico “Cantachiaro”, poi con “Il Travaso”, con il celebre  “Marc’Aurelio”, con “L’Elefante” e con “Il Borghese”. 

Alcune sue vignette contro le dittature del cosiddetto “socialismo reale” rimangono ancora oggi celebri. Famose quelle che stigmatizzano gli interventi sovietici durante gli anni Cinquanta nei paesi dell’Europa dell’Est.

E’ conosciuto in ambienti esclusivi come un gentleman, un ufficiale serio, al bisogno un artista e umorista di alto profilo. Singolare, ma forse non troppo, la sua passione per il pugilato che esercitava come peso massimo con i suoi 92 kg x 185cm di altezza. Eppure le sue mani così grandi e forti rivelano una grandissima delicatezza e sensibilità.

Arrivano gli anni Sessanta. Roma ha la sua Olimpiade. E’ la consacrazione del boom economico italiano. Il mondo guarda all’Italia con ammirazione. Occorre una immagine emblematica della conquista della sede olimpica. Il CONI gli commissiona le immagini di copertina del libro ufficiale di presentazione della XVII Olimpiade.

Gode di un trionfo continuo. Molte le sue opere in campo cinematografico e pubblicitario. Nonostante il successo rimane però forte l’anima caltanissettese. Ama vivere nell’ombra. Nascondersi o quanto meno mimetizzarsi.

Firma molti dei suoi disegni e delle sue opere, che saranno emblematiche della storia e della cultura di quegli anni, con lo pseudonimo di “Giam”. Negli ambienti romani è famoso per il suo bel tratto.

E’ uno dei primi artisti che viene contattato da importanti aziende commerciali. Rimane celebre il popolare “Arlecchino” della Cirio che – dal 1964 – ricoprirà ampi spazi pubblicitari nel centro di Roma e nelle principali città italiane.

Negli anni Sessanta lavora per il “Messaggero” e “il Tempo”, quotidiani di “stampo romano”, vicini all’establishment del momento.

Pur essendo copiosa la sua produzione per la carta stampata la sua passione rimane la pittura. Per ragioni varie, a volte non molto comprensibili, la sua opera pittorica non risulta troppo copiosa. In parte rimarrà celata, in parte verrà persa in singolari incidenti. Quello che rimane oggi è una serie di disegni a carboncino, poche e bellissime tele, olii, acquerelli.

La sua costante sarà quella di rimanere lontano dai riflettori. La sua arte dagli esperti viene distinta in due differenti periodi. Il primo che va dal 1928 al 1955, il secondo dal 1956 al 1975.

Dal 1965 si manifestano i primi sintomi della malattia che lo segnerà. Il cambiamento fisico e psicologico viene avvertito chiaramente nelle sue ultime opere. Ha dipinto molto poco, forse distratto dal suo lavoro di giornalista-vignettista. Per questo motivo, a parte alcune tele e disegni che fanno parte di collezioni private, rimangono soltanto una quindicina di dipinti su tela e una ventina di disegni su carta. Alcuni acquerelli andranno distrutti in un dubbio incendio.

Le sue opere vengono vendute negli anni ’70 a prezzi medio-alti per l’epoca. Molte ritraggono la moglie Marcella e i suoi cani e gatti. Nel 1980, il settimanale “Vita” proporrà di intitolare una strada di Roma ad Hugo Giammusso, tramite il giornalista e critico d’arte Pasquale Curatola. 

È stato definito autore e capostipite di una nuova breccia, il precursore della satira anticlericale che si evolve nel dopoguerra, nel 1946, in un periodo in cui si andava invece affermando sempre più il peso della Chiesa nella politica italiana.

Muore a Roma, dopo una lunga malattia, il 22 giugno del 1977.

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