Il suo cappotto di cammello ne “La prima notte di quiete” valeva almeno quanto quello di Marlon Brando ne “Ultimo tango a Parigi”: Alain Delon, icona del cinema del ‘900, se n’è andato a 88 anni avvolto dalla discrezione di una vecchiaia che era stata impietosa con uno dei volti più belli e inquietanti mai comparsi sugli schermi di tutto il mondo.
Il suo professore nel film di Valerio Zurlini aveva tutti i dubbi dei fallimenti della sua generazione, che in qualche modo è stata anche la nostra, di chi ha attraversato la seconda metà del secolo che è passato con grandi sogni e profonde delusioni.
È stato il cinema italiano a valorizzare al livello più alto il suo talento di attore: Luchino Visconti con “Rocco e i suoi fratelli” e “Il Gattopardo”, Michelangelo Antonioni con “L’eclisse”, Valerio Zurlini con “La prima notte di quiete”, gli hanno affidato il racconto delle contraddizioni della contemporaneità, la complessità di esistenze non lineari, immerse in contesti di cambiamenti drammatici, affrontati in solitudine, senza il conforto dei movimenti collettivi che hanno accompagnato le utopie di quella generazione.
Delon aveva vissuto nel segno della individualità le contraddizioni del suo tempo: senza una famiglia solida alle spalle, arruolato con la marina negli ultimi mesi della guerra francese nel Vietnam, si favoleggiava anche nella Legione Straniera, ha interpretato cinici avventurieri e fragili perdenti, si è cimentato in tutti i generi della narrazione cinematografica, anche nel poliziesco, senza timore di confrontarsi con altri mostri sacri come Belmondo e Jean Gabin.
Ma il ruolo che lo ha consacrato nel nostro immaginario collettivo è stato quello di Tancredi Falconeri, nel Gattopardo, il teorico del “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”, cinico opportunista icona della classe dirigente trasformista della nuova Italia, troppo bello e aristocratico perché non gli si perdonasse tutto, alter ego del principe Salina, disincantato e rassegnato al declino del proprio mondo.
Le ambiguità del suo mondo Delon invece è riuscito a rappresentarle tutte, nella vita privata e sullo schermo, umanizzando con le zone d’ombra dei suoi personaggi un’immagine che avrebbe potuto sembrare uno stereotipo di bellezza senz’anima.
